27 gennaio e memoria: come mio padre diventò comunista

La giornata della memoria è incardinata sul ricordo della Shoah, e del genocidio perpetrato contro il popolo ebraico dai nazisti. Però, in una interpretazione estensiva, non è forse impropria anche la memoria di chi contro il nazifascismo combatté, come mio padre Roberto.

di Bruno Giorgini

Il suo funerale laico era appena stato compiuto e la salma tumulata in un cimitero milanese, la città che aveva scelto per gli anni della pensione dopo una vita passata in Romagna, quando un anziano signore avvicinandosi chiede: “Tu sei Bruno? Roberto mi parlava sempre di te” e dandomi la mano, prosegue, “eravamo amici fin da ragazzi, siamo diventati comunisti insieme, mi chiamo Vladimiro. Ma lui non ti ha mai raccontato niente di questo?”

E’ un anziano simpatico signore, un accento romagnolo che si taglia col coltello mescolato a espressioni tipicamente milanesi, e senza aspettare risposta “Ci siamo ritrovati qui a Milano al circolo dei romagnoli, sai ci eravamo un po’ separati dopo l’Ungheria del ’56, io ero contro l’intervento sovietico, restituii la tessera del Partito e lui mi chiamò traditore, a me che ho passato la vita a essere comunista e un buon comunista…ancora oggi sembra non credere che il suo amico lo abbia accusato di tradimento…poi siamo diventati vecchi e Roberto è arrivato a darmi ragione… quasi ragione. Il tuo babbo poteva essere molto duro, sulla politica non transigeva, veniva prima di tutto. E dire che siamo diventati comunisti insieme…ripete.. avevamo quindicianni”.

Sono curiosissimo ma non sollecito, conosco la discrezione dei vecchi comunisti, se li incalzi con troppe domande rischi che si chiudano a riccio, se non ti trattano come un poliziotto. Dopo qualche minuto di silenzio – sta raccogliendo le idee – Vladimiro comincia.

“Avevamo montato una radio a galena e smanettavamo coi cristalli ascoltando in qua e in là, finché una sera capitiamo su qualcuno che parla in italiano dalla Russia. Racconta di proletari che comandano, della Russia coi Soviet e contro i fascisti. Noi a malapena sapevamo dov’era la Russia però ci piacevano le parole di questo Ercoli (Togliatti NdR) e abbiamo cominciato a ascoltarla tutti i giorni, dopo l’officina, allora s’andava a lavorare giovani, a quattordici anni, se ti andava bene. Così sentimmo nominare Marx e Engels, due che, secondo Ercoli, avevano previsto la rivoluzione e la libertà degli operai dallo sfruttamento. Il tuo babbo dice: perché non proviamo a leggerli, andiamo a prendere un loro libro in prestito alla biblioteca comunale; tuo zio lavora ben lì. Detto fatto arriviamo in biblioteca e tranquilli tranquilli chiediamo un libro di Marx e Engels a mio zio, che quasi sbianca, fa segno di tacere, ci porta in un ufficetto, chiude la porta e sbotta: ma siete matti, Marx e Engels non si possono leggere, è vietato. Vietato da chi chiede Roberto – ma dal fascismo, dal duce benedetti ragazzi incoscienti, si può finire in prigione. Allora Roberto che era svelto, dio se era svelto di testa e di mano, chiede: ma dove stanno i suoi libri, ce li potete almeno far vedere, poi andiamo via. Non capisco perché lo interessi, ma gli vado dietro e così mio zio, per toglierci di torno in fretta credo, ci guida fino a uno scaffale a vetro con le ante chiuse da un lucchetto e vediamo i libri di Marx e Engels, il primo in basso a destra è titolato Anti-Dühring di F. Engels. Quindi usciamo mentre mio zio tira un sospiro di sollievo. Appena fuori Roberto dice: una notte di queste entriamo di nascosto e ce lo prendiamo, ci vuole un niente. L’idea ci piace un casino, e un venerdì notte ci mettiamo al lavoro – venerdì perché il giorno dopo, sabato, la biblioteca rimaneva chiusa per via del sabato festivo deciso dal duce, il sabato fascista. Scardiniamo una finestra, entriamo, arriviamo alla teca, rompiamo il vetro, prendiamo l’ Anti-Dühring e dalla stessa finestra usciamo. Dopo lo leggevamo insieme seduti sui gradini del marciapiede sotto i lampioni del viale della stazione che facevano una bella luce. Poi, arrivati alla fine, ci mettemmo a cercare un comunista perché volevamo entrare nel Partito, ma non era facile nella Cesena del 1936 per due ragazzi di quindici anni trovarne uno, e avevamo anche capito che bisognava essere prudenti. Però intanto per prepararci prendevamo delle bottigliette di profumo vuote, sai perché? – non ne ho la minima idea – ma perché sono di vetro grosso, spesso. Noi le riempivano di polvere nera, mettevamo una miccia e ci allenavamo in campagna a tirarle guardando come esplodevano. Non fu facile, ma imparammo a farle bene le nostre bombe a mano di vetro che volevamo buttare contro i fascisti, scagliavano intorno delle belle schegge acuminate e taglienti. Dopo trovammo un contatto e cominciò la nostra militanza nel Partito, ma delle bombe non gli dicemmo niente, rimase un segreto nostro. E’ la prima volta che parlo di questa vicenda, non l’ho mai detta ai miei figli e nipoti, ma tu sei comunista mi ha detto il tuo babbo, quindi.”

Quindi… il mio babbo non mi ha mai detto niente di tutto questo, però a quattordici anni mi dette da leggere proprio l’Anti-Dühring e mi ero sempre chiesto perché proprio quel testo, che mi parve di una noia totale, niente a che vedere col Manifesto del Partito Comunista, un capolavoro ancora oggi. Dopo Roberto fece la Resistenza, diventò funzionario del PCI, rivoluzionario di professione come si diceva al tempo, eccetera.

Oggi una storia così non potrebbe accadere: non c’è più nessuna patria del socialismo, tantomeno rivoluzionari di professione e nemmeno l’Internazionale ha più corso, non si possono più ascoltare voci lontane che sembrano venire da un altro mondo pieno di giustizia, eguaglianza, libertà e dittatura del proletariato, la rossa primavera non è nemmeno più un sogno o una illusione, neppure una utopia.

L’unica bandiera rossa che sembra ancora utile a qualcosa è quella che sulle spiagge alzano i bagnini a indicare il mare grosso. Mio padre rimase quasi annichilito dalla scoperta dell’estensione del gulag staliniano, anche se sapeva, e ribadiva, che la dittatura di classe deve essere implacabile coi suoi nemici. I nemici, mi disse una volta, ma quando metti in galera gli amici, i compagni… e gli veniva da bestemmiare, rimanendo comunista per tutta la vita.

Ancora un paio di cose. La prima: il babbo di Roberto, mio nonno, era socialista, lavorava come minatore e prese parte alla settimana rossa, ricevendo un colpo di moschetto alla mano sinistra che lo lasciò invalido a vita e senza lavoro, anche perché non prese mai la tessera fascista, la “tessera del pane” come veniva chiamata, arrangiandosi con lavoretti precari qua e là, in nero. Mentre mio bisnonno era repubblicano mazziniano e scontò dieci anni di fortezza per attività antimonarchiche. Insomma Roberto era predisposto a assorbire il pensiero ribelle comunista e antifascista, e fu come se le poche parole di Ercoli ascoltate alla radio fossero un fiammifero gettato in un bidone di benzina pronta a accendersi.

La seconda: quando gli chiesi se ne sapeva qualcosa del genocidio, se avesse percepito la persecuzione degli ebrei come un’offesa anche a se stesso, mio padre rispose con qualche imbarazzo. “Sai dove sono nato io, tra il popolo, gli ebrei avevano fama di chi presta soldi a strozzo, per dire di qualcuno che è avaro, si diceva rabighino, soltanto dopo un compagno ebreo mi ha spiegato che vuol dire rabbino, e ci sono rimasto male. Da partigiano ne ho conosciuti un paio che combattevano con noi, però era un rapporto tra compagni, che fossero ebrei non è che te ne accorgevi tanto. Fu dopo la liberazione che venne fuori Auschwitz e il resto, insomma che il fascismo e il nazismo erano anche peggio del peggio che mi ero immaginato. La cosa mi è diventata chiara e netta, pensa un po’ te, leggendo Primo Levi, che non volevo neanche perché non era comunista, ma un mio amico d’infanzia mi convinse, e si spalancò una porta.” Mi piace oggi pensare che quell’amico fosse Vladimiro.