di Lorenzo Trombetta*, tratto dall’ISPI
La concreta prospettiva per un accordo nazionale e regionale sulla Siria appare lontana, nonostante l’Onu abbia invitato le parti a dialogare a Ginevra il prossimo 29 gennaio. La Siria è un paese lacerato da cinque anni di violenze e martoriato da un conflitto che ha da tempo assunto dimensioni che vanno ben oltre i suoi confini. L’improvviso inasprimento della tensione tra Arabia Saudita e Iran, principali attori della regione coinvolti a livelli diversi nella mattanza siriana, ha frenato ogni sforzo mediato dall’inviato speciale Onu sulla Siria Staffan de Mistura per far sedere le parti – governo e opposizioni – al tavolo negoziale di Ginevra.
L’appuntamento era inizialmente fissato per il 25 gennaio, ma è saltato a causa delle profonde divisioni tra le parti siriane. Formalmente, il governo di Damasco afferma di essere disponibile a trattare, a patto di conoscere prima chi saranno i membri della delegazione delle opposizioni. Queste, da oltre un mese riunite a Riyadh, hanno improvvisamente sospeso ogni volontà di negoziare con il regime durante il deterioramento della situazione umanitaria di civili intrappolati in alcune zone del paese assediate dalle truppe lealiste.
La ragione umanitaria, ufficialmente alla base del rifiuto delle opposizioni in esilio di tornare a trattare col regime, sembra però pretestuosa e dettata dalla contingenza regionale. La tragica situazione dei 42.000 civili di Madaya e di quelli di altre zone sotto assedio in Siria era nota agli oppositori ben prima dello scoppio della crisi tra Arabia Saudita e Iran all’inizio di questo mese.
Gli oppositori di Riyadh hanno anche affermato che non torneranno a negoziare col regime fino a quando l’aviazione russa non cesserà di bombardare obiettivi civili. Anche in questo caso, da tempo e ben prima dell’assalto dell’ambasciata saudita a Teheran, Mosca colpisce ospedali, scuole, forni e innocenti civili siriani soprattutto in aree lontane dai territori dell’organizzazione dello Stato islamico (Is).
L’irrigidimento della posizione delle opposizioni siriane sostenute dall’Arabia Saudita si spiega invece proprio nel quadro delle pressioni che Riyadh ha esercitato ed esercita sui suoi alleati e clienti regionali perché si approfondisca la frattura tra la Repubblica islamica e i paesi arabi del Golfo alleati degli Stati Uniti. La reazione dell’Iran e dei suoi clienti nella regione non si è fatta attendere ed è stata diretta anche contro espliciti obiettivi americani.
Secondo osservatori siriani, la decisione saudita di giustiziare a inizio del mese lo shaykh sciita Nimr al-Nimr – episodio che è all’origine della crisi diplomatico-politica tra Riyadh e Teheran – è stata presa dopo che Zahran Allush, leader della principale milizia siriana anti-regime sostenuta dall’Arabia Saudita, è stato ucciso in un raid aereo vicino Damasco attribuito alla Russia.
La relazione tra i due fatti non è confermata né verificabile, ma va ricordato che secondo Riyadh l’influente gruppo di Allush, Jaysh al-Islam, avrebbe dovuto svolgere un ruolo di spicco nelle prossime trattative di Ginevra. La sua eliminazione a Damasco, avvenuta proprio mentre nella capitale saudita i suoi emissari discutevano con le altre anime delle opposizioni siriane, è stata da alcuni letta come un tentativo di Mosca (e dell’Iran) di indebolire il fronte negoziale rivale, vicino a Riyadh.
In ogni caso, da settimane Washington e Mosca sono stati al lavoro per cercare di premere le parti siriane a rispettare, almeno formalmente, l’appuntamento negoziale entro la fine di gennaio. Prima dell’autunno prossimo l’amministrazione Obama intende portare a casa almeno un immagine ricordo del tentativo per “la pace in Siria”, mentre il Cremlino da mesi parla di “pace in Siria” come mezzo per consolidare la pax russa a est del Mediterraneo.
Il calendario degli incontri tra oppositori e governo siriani era stato deciso a New York a dicembre durante le votazioni dell’ultima risoluzione Onu sulla Siria che prevede, tra l’altro, l’avvio di una fase di transizione politica dai contorni però ancora vaghi e ambigui.
L’accordo di New York era seguito a quello di Vienna, frutto di un processo in cui l’Iran – principale alleato regionale di Damasco – era stato finalmente invitato a sedersi al tavolo dei grandi per discutere di Siria. Da allora, tutti gli attori coinvolti nei vari teatri della guerra mediorientale in corso sembravano intenzionati a trovare dei compromessi, dallo Yemen alla Siria, dall’Iraq al Libano.
Anche se l’incontro del 29 gennaio si terrà come richiesto dall’Onu, Vienna appare lontana e la regione sembra ripiombata nel pozzo della violenza a sfondo confessionale, con le parti impegnate ora ancor più di ieri ad alimentare la tensione e ad approfondire le fratture. In questo contesto, nel breve termine appare impossibile che governo e opposizioni siriane si siedano attorno al tavolo che de Mistura sta apparecchiando con tanta insistenza.
Gli osservatori più attenti del conflitto siriano sono ormai abituati ai cambi di passo e di ritmo delle dinamiche politiche, diplomatiche e militari della crisi in corso dal 2011. L’attuale frenata del processo di Vienna è solo un momento di un percorso più articolato e complesso di cui fa parte la dimensione locale.
Sul terreno si registrano tregue e accordi tra attori rivali sulla base di mutui interessi: scambi di prigionieri, apertura di corridoi umanitari in cambio dell’evacuazione di miliziani, trasferimento di civili assediati verso altre zone della Siria. Il paese è senza dubbio sulla via della frammentazione territoriale su base confessionale.
Ma questo non impedisce che, in attesa di una distensione diplomatico-politica a livello regionale e internazionale, le comunità locali continuino a lavorare ogni giorno per ripristinare i servizi essenziali, ridare dignità agli abitanti delle varie zone, tentare di ricomporre con fatica le fratture interne.
*Lorenzo Trombetta, Storico della Siria contemporanea. Autore di due monografie sulla Siria. Vincitore del premio della Syrian Studies Association per il miglior articolo accademico prodotto sulla Siria tra il 2014 e il 2015.