di Luca Rasponi
Tra le tante storie legate alla Shoah, una più di tutte ha il sapore della beffa. È quella di Jan Kozielewski, partigiano polacco che nel 1943 testimoniò di fronte ai governi delle potenze occidentali quanto stava accadendo nei campi di concentramento di tutta Europa. Senza che questo sortisse alcun effetto. Avvolte da un’alone d’incredulità, le parole di Kozielewski – passato alla storia con uno dei suoi tanti nomi in codice, Jan Karsi – sarebbero rimaste inascoltate per decenni. Ci è voluto il documentario Shoah di Claude Lanzmann (1985) per rendere nota una vicenda che Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso hanno recentemente trasformato in un graphic novel.
Siamo nel settembre 1939 quando Germania e Unione Sovietica invadono la Polonia. Il giovane Kozielewski, sottufficiale dell’esercito polacco, è presto catturato dai sovietici e internato in un gulag ucraino insieme a numerosi compagni. Durante uno scambio di prigionieri con i nazisti, Jan riesce a fuggire e ritorna a Varsavia, ora occupata, dove si unisce alla Resistenza. Kozielewski ha talento per le missioni sotto copertura, quindi comincia a portare ordini e notizie in incognito, collegando i gruppi dell’Armia Krajowa (Esercito Nazionale) tra loro e con il governo polacco in esilio a Parigi.
Mentre si intensificano le rappresaglie contro i partigiani e la persecuzione degli ebrei, nel maggio 1940 Kozielewski viene catturato in Slovacchia. Per 25 giorni gli uomini delle SS lo torturano per estorcergli informazioni, fino a quando, ormai sfinito, Jan tenta il suicidio. In ospedale riceve un aiuto inaspettato e riesce a fuggire, ma nel frattempo Parigi è caduta. A Jan viene quindi concesso un periodo di tregua in una stamperia clandestina nelle campagne di Cracovia, dove resta fino a quando l’attività viene scoperta dai nazisti nel luglio 1941.
La fase più dolorosa della vicenda di Kozielewski comincia nel settembre 1942: grazie ad alcuni ebrei di Varsavia riesce ad entrare clandestinamente nel ghetto cittadino, trovandosi di fronte a cadaveri per strada, spari contro i bambini e alla più totale degradazione materiale e umana.
Ma non è tutto, perché il governo polacco in esilio chiede a Jan un’ultima missione: infiltrarsi nel campo di sterminio di Izbica Lubelska (Lublino). Kozielewski accetta, corrompe una guardia ucraina si trova a tu per tu con l’orrore: gli ebrei – scriverà nel libro La mia testimonianza davanti al mondo – stavano morendo in un’agonia di dolore per volontà del Führer.
Nel luglio 1943 Karski è negli Stati Uniti a portare la sua testimonianza. Jan è sul punto di raggiungere l’obiettivo, ma né il giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter né il presidente Roosevelt in persona credono alle sue parole, vanificando anni di fatica e sofferenze. Il racconto si conclude su questa profonda nota di amaro, con un senso di impotenza che stona clamorosamente con il resto della vicenda, dove Karski riesce sempre a cavarsela alimentando la speranza di un cambio di rotta nelle vicende via via più tragiche di cui è testimone.
Ma nel racconto di Rizzo e Bonaccorso non c’è spazio per retorica o pietismi: L’uomo che scoprì l’Olocausto è prima di tutto la cronaca storica, seppur romanzata, di una vicenda complessa, che forse avrebbe meritato più spazio delle 130 pagine di cui si compone il libro.
La volontà di offrire al lettore una testimonianza diretta e priva di moralismi è apprezzabile, ma la spinta sulla sintesi pare a tratti eccessiva, il ritmo frenetico e troppo compresso per coinvolgere emotivamente il lettore. Alcune scelte narrative che Rizzo spiega in appendice, come quella di condensare in uno più fatti e personaggi, sembrano anch’esse forzare lo svolgimento del racconto. La stessa sensazione emerge dalle immagini: al netto di un ottimo lavoro su disegno e colore, il tratto espressivo e spigoloso di Bonaccorso finisce per dare vita a tavole in cui lo storytelling non sempre funziona, perché lo spazio bianco tra le vignette contiene più azione delle vignette stesse, e il non rappresentato prevale come in un film privato qua e là di alcuni fotogrammi.
Resta il fatto che Jan Karski ha un valore di testimonianza indiscutibile, soprattutto perché rende fruibile la vicenda in un modo, per giovani e giovanissimi, sicuramente più stimolante del tomo di oltre 500 pagine edito in Italia da Adelphi.
Il libro di Kozielewski, così come Il testimone inascoltato di Yannick Haenel, sono a disposizione di chiunque voglia approfondire la vicenda di Jan Karski. Ma a Rizzo e Bonaccorso va riconosciuto il merito, tutt’altro che indifferente, di aver raccontato a fumetti la storia dell’uomo che scoprì l’Olocausto.