The end of the tour

David Foster Wallace: una lunga intervista, un grande scrittore, una fine tragica, un patrimonio intellettuale che ora diventa un film

di Irene Merli

The end of the tour, di James Ponsoldt con Jesse Eisenberg, Jason Segel, Anna Chlunsy, Mamie Gummer, Joan Cusack, Ron Livingston, Nelle sale dall’11 febbraio

Nell’inverno del 1996 David Lipsky, giornalista e scrittore, segue David Foster Wallace per gli ultimi 5 giorni del tour promozionale di Infinite Jest, il libro cult che rese di colpo famosissimo lo scrittore di Ithaca.

L’obiettivo? Un’intervista che poteva diventare la cover story di Rolling Stone: dopotutto all’epoca DFW era stato definito la “rockstar” della letteratura americana. I due condividono così la solitudine della casa di Wallace, sperduta in mezzo alla neve, i viaggi in auto e in aereo, l’ansia prima dei “reading” e delle interviste, l’incontro con lettori, librai e due amiche, le sedute sul divano davanti alla televisione (la vera, grande dipendenza di Wallace, insieme al junk food), tra mucchi di birre e di sigarette.

Lipsky e DFW si studiano a vicenda, si fanno confessioni intime come capita tra sconosciuti e tacciono su altro , si intendono e si detestano, si incontrano, si perdono e da allora non si vedono mai più. Non solo, l’intervista non comparve mai su Rolling Stone. Ma quando DFW 12 anni dopo si suicidò, impiccandosi nel garage di casa, Lipsky, sconvolto, ripescò dalla cantina le lunghe registrazioni delle
altrettanto interminabili chiacchierate e ci fece un libro: Come diventare se stessi (Minimum Fax) .

Ed è proprio da da quelle pagine che è tratto The end of the Tour. Il film di James Ponsoldt arriva sugli schermi a 20 anni dall’uscita di Infinite Jest e non è un documentario né un biopic, ma la storia di un incontro tra due uomini diversi, con una comune passione per la scrittura, gusti affini ( dal cinema alle donne) e una base di velata rivalità (“He wants more than he has. I want precisely what he already has”, dice Lipsky in maniera rivelatoria verso la fine del film), la rottura dell’impatto tra due giovani uomini che hanno per caso l’occasione di avvicinarsi, come fa ben vedere il road movie.

Perché di questo si tratta, in effetti: The end of the tour è il raccolto caldo e toccante del viaggio di Lipsky sulle orme di Wallace, non certo un’epica avventura, anzi un’immersione nelle disperazione e nel talento dell’altro, nella sua solitudine, nelle sue ossessioni, e nella propria umiltà di scrittore meno geniale.

Un tour in cui i due parlano di letteratura, politica, sentimenti, depressione, successo, destino, in un imperdibile testa a testa, un annusarsi reciproco tra narcisi consapevoli più dei limiti altrui che dei propri.

Il reporter, ambiziosetto, cerca lo smalto dal romanziere del momento, lo scoop. Ma il suo interlocutore glielo nega: Wallace non era certo il prototipo dello scrittore arrogante, brillante, pieno di sé, fiero delle sue maledizioni.

Se esisteva un autore terrorizzato dall’idea di diventare una parodia di se stesso e di perdere il contatto con la realtà per colpa della fama e delle sue lusinghe,quello era DFW. Nonostante le tante, brucianti insicurezze.

L’apparizione di Jason Segel con la famosa bandana e gli stessi occhialini dello scrittore, fisicamente ed emotivamente così simile a Wallace, è davvero una grande interpretazione: Jesse Eisenberger aveva già dato un’ottima prova in The social network nei panni di Mr Facebook, mentre Jason Segel, per ora aveva fatto solo commedie di livello discutibile e in questo ruolo fa uno sforzo di immedesimazione in una straordinaria e tormentata individualità che davvero stupisce, e commuove.

Del resto Amy, la sorella di Wallace, una volta descrisse DFW come “uno che, dopo averci parlato solo qualche minuto, ti sembra appena sbarcato da una navicella spaziale”. La forza e il calore del film
stanno proprio qui: nel fatto di far entrare lo spettatore nella mente di un grande e fragile uomo, a capirne amori e passioni, a sorridere della sua bandana o del suo modo di trattare gli amatissimi cani, a vederne fragilità e cupezze ma anche un’innocenza profonda, svelata dallo sguardo ingenuo che lo scrittore volgeva al mondo.

E questo ci capita davanti e addosso perché quell’incontro fu unico e irripetibile: mai, né prima né dopo, Wallace si raccontò davvero a qualcun altro, lasciando intravedere lati luminosi e oscuri. The end of the tour, insomma, è un viaggio nello spazio, nel tempo e nell’interiorità . Con un uso del linguaggio per nulla comune, in un’opera che aspira a una platea comprensiva anche di chi non conosca
il personaggio in questione.