Stare con Aldo dice 26X1

Una comunità abitativa che resiste, la solidarietà di una parte della città, quella che accetta di guardare con occhi nuovi

di Gabriella Ballarini

È il 28 Marzo 2014 e siamo a Sesto San Giovanni, che è quasi Milano, ma non è Milano. C’è un palazzo abbandonato, è lo stabile ex-Alitalia di via XXIV Maggio, 6. Da quel giorno di Marzo, il grande edificio ha preso il nome di “Residence sociale Aldo dice 26×1” e ci vive molta gente.

Di questa gente scrisse, sul nostro giornale, Laura Sferch nel suo articolo del 12 Dicembre 2015, gente-persone, non gente-numeri. Gente-nomi-età-sogni-pensieri. Come Laura ben ci raccontava, si tratta di persone in attesa che qualcosa accada.

Si tratta di persone cui è stato intimato uno sgombero da quel mese di Dicembre e che da quella data, ogni giorno, hanno cercato di mettere in piedi un “tavolo”, quella concertazione tra municipalità di Milano, Sesto san Giovanni, curatori fallimentari Alitalia e prefettura.

Il 5 Febbraio scorso, l’Assessore alle politiche sociali del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, ha fatto visita al residence, come è documentato in questo video del Fatto Quotidiano.

Nell’incontro tra il rappresentante degli abitanti di Aldo dice 26×1, Wainer Molteni e l’assessore Majorino (che era ancora in corsa per le primarie ndr), una nota interessante ha caratterizzato il confronto: non c’è un attaccamento al principio dell’occupazione in sé, ma che il nodo dell’interesse sia legato al progetto, alla casa, alla reale e concreta soluzione abitativa dignitosa e autonomamente gestita.

Aldo dice 26×1, infatti, non è solo un luogo dove proteggersi dal freddo, è un intreccio di destini, è cura e presa in carico. È quello che mi piacerebbe definire “la città educante” che accoglie e responsabilizza.
Dopo la visita dell’assessore, sono state organizzate molte serate di sensibilizzazione tra cui quella con il Teatro degli Incontri, un collettivo artistico che sostiene il progetto del residence sociale.

Molti cittadini sono accorsi allo spettacolo-denuncia del 6 Febbraio scorso dal titolo Storie di stazioni e di cancelli, all’ingresso c’era la fila. Quasi duecento cittadini si sono addentrati su per le scale, tra il primo, il secondo, il terzo e il quarto piano dove gli attori hanno parlato di città nascosta. In un processo di progressivo “sbendamento” gli spettatori si sono poi ritrovati tutti al terzo piano, per lo spettacolo corale, la vita ai margini, la stazione Centrale di Milano raccontata nei suoi silenzi e in quei cancelli anti-barbone che chiudono senza proteggere.

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I cancelli che dimenticano la città e i suoi abitanti. Tra quei cittadini c’ero anche io. Ho deciso che volevo fermare quella serata in una serie di scatti e volevo ballare al Social Club, volevo mangiarmi la pizza gigante che vendono lì al ristorante dell’ingresso, insomma, volevo esserci.

Sono arrivata durante le prove, la vita della casa sembrava quella di sempre, il signore dalla barba bianca all’ingresso, quello che molti mesi fa aveva smezzato un panino al salame con me, poi quella solita immagine di me che mi perdo, perché Aldo è un labirinto ordinato, nel quale magari ci si perde, ma poi si trova sempre qualcuno che ci fa ritrovare il piano giusto.

Ho aspettato con gli attori il momento dell’arrivo del pubblico, con loro ho condiviso le prove, sono stata con Carla nei camerini, con Roberta tra un pezzo e l’altro, con Roxana durante l’abbraccio d’auguri per il compleanno, ho guardato Alessandro che provava il suo zingaro, Santo con la luce, Bora e tutti quei ricci, Tin e Albe che giocolavano.

Ho fatto finta con loro, che tutto fosse come lo stavamo sognando insieme, che quel freddo che sentivamo al pensiero di esser buttati fuori, lo si potesse risolvere con una danza o alzando con forza una cornice chiamata libro parlante, un racconto preso in diretta in quella Milano cialtrona e distratta, amata e intensa.

Loro, che hanno avuto il coraggio di mettere in scena provando un’unica volta tutti assieme, con quel coraggio che hanno solo quelli col cuore che non ha paura di batter così forte, così tanto, da far rumore.

Al termine dello spettacolo, siamo stati tutti invitati al presidio che si è tenuto l’8 Febbraio in Piazza della Scala di fronte a Palazzo Marino. Dopo il presidio, l’unica certezza è ancora l’attesa e lo sgombero è una minaccia che si fa sempre più concreta. Nel residence abitano persone anziane, giovani, adulti e bambini, un totale di più di 200, la domanda è: se lo sgombero avvenisse domani, dove andrebbero a passare quel che resta dell’inverno?

#iostoconAldo è l’hastag, ‘stare con’ è un’espressione importante. Sono andata a guardarmelo sulla Treccani. Stare con è mettersi a fianco, abitare lo stesso spazio. Stare fermi, stare per permanere e poi andare.

Oggi è il 12 Febbraio. Stare con Aldo dice 26×1 significa mettersi dalla parte di chi chiede solo di venire ascoltato perché ha un’idea. Un’idea semplice fatta impastando insieme ingredienti conosciuti, fatta di uomini e donne “alla riscossa”.