di Tijana Morača
L’iniziativa Non (affon)diamo Belgrado (Ne da(vi)mo Beograd) è nata nel 2014 in risposta al controverso progetto Belgrado sull’acqua (Belgrade Waterfront), che prevede la costruzione di spazi esclusivi a uso abitativo e commerciale, hotel, ‘il più grande centro commerciale dei Balcani’ e una torre di vetro alta 180m2, in un area di 1.77km2 sulla riva del fiume Sava vicina al centro di Belgrado.
Il principale investitore del progetto, che è stato promosso come intervento di valenza nazionale dal premier Aleksandar Vučić, è la società Eagle Hills di Abu Dhabi guidata da Mohamed Alabbar, conosciuto per essere il fondatore della società che ha costruito il più grande shopping mall del mondo e il grattacielo più alto di Dubai.
Non (affon)diamo Belgrado, che mette in discussione la legalità e la trasparenza del progetto e più in generale la necessità stessa di realizzare una zona commerciale così imponente e lussuosa nel centro città, ha mobilitato un gruppo piuttosto nutrito di attivisti, giornalisti e architetti.
Conosciuta al pubblico per il suo simbolo, una papera gialla (nello slang serbo ‘papera’ è sinonimo di ‘frode’ ma anche di ‘pene’), l’iniziativa è attualmente l’unica forma attiva, dinamica e fantasiosa di opposizione al governo in carica di Aleksandar Vučić.
Tijana Morača ha intervistato per Q Code magazine l’attivista Dobrica Veselinović, uno dei fondatori dell’iniziativa “Non (affon)diamo Belgrado”.
Ci sono molte idee su come l’area adiacente ai fiumi Sava e Danubio potrebbe essere riqualificata, e su come Belgrado potrebbe sfruttare molto meglio la sua posizione compresa tra due grandi fiumi. Ad esempio, uno degli architetti più famosi al mondo, Daniel Libeskind, ha elaborato un progetto per la rivitalizzazione di una parte della riva danubiana, mentre lo studio di Zaha Hadid ha disegnato un complesso da situare alla confluenza dei due fiumi. Come giudicate il progetto “Belgrado sull’acqua”?
DV: E’ tutto molto strano, l’intero processo è strano. Quello sceicco, il cui nome peraltro sembra cambiare di anno in anno, è un grande amico di Aleksandar Vučić. La versione ufficiale è che si siano conosciuti in aereo e che la loro amicizia si basi sulla comune passione per i cavalli e il calcio… E così lo sceicco arriva in Serbia nel 2013, visita lo stadio Marakana, e comincia a girare voce che si voglia privatizzare la squadra della Stella rossa e che gli Emirati Arabi Uniti siano uno dei partner nell’affare. Si comincia a parlare anche di “Belgrado sull’acqua”, e dello sceicco come principale investitore. La cifra oscilla tra i 3 e i 3.2 miliardi, non è chiaro se si tratti di dollari o euro… un vero e proprio balletto dei numeri. Questa è una delle prime esche gettate in pasto all’opinione pubblica.
La campagna promozionale vera e propria comincia nel 2014, e raggiunge l’apice con la presentazione di un plastico della futura Belgrado sull’acqua. Il presunto valore dell’investimento è sempre di circa 3 miliardi (di dollari o euro). In questa fase non esiste ancora nessun contratto scritto. Esistono solo il plastico e la promessa che il progetto porterà 20.000 posti di lavoro e ridarà slancio all’industria edilizia. La promozione si estende a tutti i livelli, da quello municipale a quello statale. Si fa pubblicità dappertutto, e il progetto viene dichiarato di valenza nazionale. In parallelo, si procede anche all’adattamento del quadro legislativo alle esigenze specifiche dell’investimento. Si modifica il Piano urbanistico di Belgrado e si approva una legge specifica sull’espropriazione del terreno interessato – la cosiddetta lex specialis. La normativa precedente prevedeva che la terra potesse essere espropriata solo per progetti di interesse pubblico, ma siccome “Belgrado sull’acqua” non si può far passare come progetto di interesse pubblico in ragione delle sue finalità commerciali, il governo ha dovuto scrivere una legge ad hoc.
Il contratto viene firmato nell’aprile del 2015 ma per ben sei mesi le autorità lo tengono segreto, con la scusa di ulteriori verifiche e procedure legali. Ma poi la pressione dell’opinione pubblica li costringe a divulgarlo, e questo è stato un momento cruciale. Il sindaco ha indetto una conferenza stampa per presentare il contratto esattamente un’ora prima che cominciasse il Gay pride, il 20 settembre 2015. Erano convinti che il Pride avrebbe attirato su di sé tutta l’attenzione dei media, pensavano che ci sarebbe stato uno scandalo, risse e violenza. E’ per questo che hanno scelto proprio quel giorno per venire allo scoperto.
Il contratto in sé, poi, è scandaloso. Leggendolo si evince che l’investimento non ammonta a 3 miliardi di dollari ma a 150 milioni, di cui 20 milioni versati direttamente, mentre il resto deriverebbe dalla vendita degli appartamenti, dai servizi commerciali e così via. All’investitore si promette tutto, ma il nostro stato non offre alcuna garanzia che il progetto andrà davvero a buon fine.
Dalla vostra analisi del contratto emerge, tra le altre cose, che la Serbia rinuncia in pratica al diritto di proprietà sul terreno interessato, dando facoltà all’investitore di convertire il diritto d’uso del terreno in una forma di proprietà, cioè di diventare padrone di fatto di quell’area pregiata senza versare alcun corrispettivo in denaro. Inoltre, si sancisce che l’approvazione di nuove leggi o la revisione di quelle esistenti non può ledere l’investimento, ovvero che i punti chiave dell’accordo non sono passibili di future modifiche. Tuttavia, a parte i danni materiali che tale contratto comporterebbe, voi vi opponete al progetto anche per la mancanza di trasparenza e la violazione di norme e regolamenti esistenti…
DV: Sì, per tutta la durata del progetto si è cercato di rendere il quadro normativo conforme a un non meglio precisato interesse finanziario. Le modifiche al Piano urbanistico, la lex specialis, la ripulitura del terreno, lo sgombero di circa cento famiglie che risiedevano in quella porzione della riva della Sava… Tutto questo è successo prima che il contratto fosse firmato. I politici insistevano che si doveva fare tutto il possibile affinché il progetto andasse in porto, ripetendo all’infinito il mantra dell’investimento e dei posti di lavoro. Quindi, oltre alla campagna promozionale si sta anche sollevando una baraonda dal punto di vista legale. Le autorità hanno dato avvio ai lavori prima di aver ottenuto le necessarie autorizzazioni, quindi la ridicolizzazione del sistema giuridico accompagna il progetto sin dall’esordio. Nonostante abbiano la maggioranza sia in parlamento che in consiglio comunale, le autorità prima agiscono e poi aggiustano le regole. E’ evidente che hanno molta fretta.
Le vostre attività sono sempre state dinamiche e variegate: pubblicate una newsletter, scrivete comunicati stampa, avete partecipato alla discussione sul Piano urbanistico di Belgrado proponendo degli emendamenti, siete andati alle riunioni della commissione municipale in cui sono state approvate le delibere, avete realizzato servizi per i media, avete organizzato proteste…
DV: Inizialmente la nostra intenzione era quella di confrontarci con loro sul piano professionale, passo a passo, ad esempio partecipando ai dibattiti pubblici sui piani urbanistici. Nel 2014 abbiamo depositato emendamenti e organizzato proteste ad ogni riunione della commissione. Siamo riusciti a convincere più di 2.000 cittadini a depositare emendamenti durante le consultazioni pubbliche in merito alle modifiche del Piano urbanistico e in occasione dell’entrata in vigore del Piano di utilizzo specifico.
Si trattava di opinioni assolutamente fondate e autorevoli, ma i nostri interlocutori non le hanno minimamente prese in considerazione. Ad esempio, quando abbiamo fatto loro notare che il ponte pedonale che avevano previsto di costruire sulla Sava era troppo basso per consentire il passaggio delle imbarcazioni, hanno respinto l’obiezione come infondata.
Questo vuol dire che l’intera procedura è stata una beffa. Il diktat è quello di realizzare il tutto sulla base di un plastico e di un progetto approssimativo, quindi non c’è spazio per alcuna obiezione di carattere tecnico. Così ci siamo resi conto che le autorità non sono affatto interessate al dialogo. Non ci sono state consultazioni, è come se qualcuno avesse fatto atterrare su un terreno libero una navicella spaziale proveniente da chissà dove.
Perciò abbiamo cominciato a cambiare gradualmente tattica, con l’obiettivo di smascherare la grande frode che si nasconde dietro a questo affare fittizio: non esiste un investitore né un investimento, non c’è la volontà di realizzare l’opera, si tratta di un mero interesse finanziario, non si sa bene di chi.
Un articolo del Guardian vi ha paragonato al movimento Otpor, anche per via del vostro efficacissimo simbolo. Come vi è venuta in mente la paperella?
Il simbolo ci è venuto in mente durante questa seconda fase, nel momento in cui ci siamo resi conto che, occupandoci dei dettagli legali, dei resoconti economici, dei piani urbanistici, della componente sociale e delle dichiarazioni dei politici stavamo perdendo tempo, e che non eravamo in grado di esprimere un messaggio chiaro. Non eravamo capaci di dire in due frasi che cosa non andava bene con “Belgrado sull’acqua”.
E’ così che ci è venuta l’idea di inventarci un simbolo. E’ stato divertente, abbiamo preso ispirazione da altre iniziative di successo, persino dai gruppi di destra e dai tifosi, e ci siamo resi conto che tutti avevano un simbolo, una bandiera o un inno… Quando si è cominciato a discutere della lex specialis abbiamo riflettuto su come un piccolo gruppo come il nostro avrebbe potuto reagire a una legge così assurda, e l’idea della papera (che in slang significa imbroglio e anche pene) ci è subito piaciuta. Ci siamo detti: “Sì, è una frode, mostriamogli la papera!”. Abbiamo costruito una grossa papera gialla e l’abbiamo portata davanti al Parlamento. Successivamente l’abbiamo usata anche nelle proteste in occasione della firma del contratto e della posa della ‘prima pietra’, e in tante altre azioni minori.
Con le vostre azioni avete suscitato reazioni molto accese. Ad esempio vi hanno accusato di essere finanziati da un misterioso tycoon, e voi avete risposto con l’evento pubblico “Diventa anche tu un tycoon”, con il quale avete invitato la gente a sostenervi con delle donazioni. Che altre reazioni ci sono state, e quali sono le vostre aspettative adesso che sono state indette le elezioni politiche in Serbia e che il partito progressista di Vučić punta molto su “Belgrado sull’acqua”?
DV: Lo scorso aprile, in concomitanza con la votazione parlamentare sulla lex specialis (cioè qualche giorno dopo che avevamo esposto la papera di fronte al Parlamento) si è tenuta una contro-manifestazione non annunciata del Partito progressista serbo a favore di “Belgrado sull’acqua”. Ufficialmente si trattava di una manifestazione apartitica, con cittadini riunitisi ‘spontaneamente’ con degli striscioni con scritto “Vučić arrestali tutti”, “Belgrado del futuro”, “Belgrado nel cuore” e via dicendo.
Simili ‘manifestazioni di sostegno’ si sono tenute anche in occasione della firma del contratto e della posa della ‘prima pietra’, quando la fantomatica associazione “Belgrado per tutti” ha indetto un assembramento che è servito da pretesto alla polizia per vietare successive manifestazioni.
L’episodio più assurdo, però, è quando abbiamo organizzato una protesta in occasione della firma del contratto: nel momento in cui gli alti funzionari lasciavano il palazzo, la polizia ci ha impedito il passaggio bloccando due tram pieni di passeggeri per fare in modo che i politici non ci vedessero.
Per quanto riguarda le elezioni, dato il forte controllo esercitato sui media nazionali lo spazio di critica finora è rimasto limitato, e mi aspetto un’ulteriore intensificazione della propaganda e della glorificazione del progetto. Ad esempio Vučić, qualche settimana fa, ha visitato la città compiacendosi dei progressi fatti.
Parlare di società civile in Serbia significa parlare di un insieme di associazioni cittadine nate in opposizione a Milošević durante gli anni ‘90, che nel corso degli anni si è trasformata in un settore professionale consolidato che affianca lo Stato nel percorso di integrazione euro-atlantica. Secondo te l’iniziativa “Non (affon)diamo Belgrado” fa parte della società civile serba? Che tipo di collaborazione avete instaurato con le altre realtà del settore?
DV: Certo, noi facciamo parte della società civile, però intesa in senso lato. Normalmente siamo noi a iniziare il dialogo, le persone appoggiano la nostra battaglia e sono pronte a scendere in strada. Però è anche vero che certe organizzazioni non governative che ricevono fondi dai donatori per i loro progetti si aspettano di collaborare con noi con la stessa formula, cioè scrivendo un progetto insieme per ottenere i fondi… E spesso ci è stato detto: “Dài, scriviamo un progetto così ci possiamo occupare insieme del problema… Al che noi rispondiamo: “Va bene, nessun problema, ma noi ce ne stiamo già occupando, perché semplicemente non vi unite a noi?”
Inoltre in Serbia la società civile non è abituata al tipo di antagonismo che pratichiamo noi. Il nostro modo di agire è piuttosto inconsueto rispetto all’idea che molti hanno di come dovrebbe operare la società civile, ovvero come correttivo del sistema politico, cioè da ‘alleata’. Noi invece facciamo opposizione aperta. Abbiamo dimostrato che “Belgrado sull’acqua” è una fesseria bella e buona, quindi ci rifiutiamo di collaborare per ‘aggiustare’ le cose. No, è tutto da buttare e chi è responsabile ne dovrà rispondere.