Q Code Mag e Milano in Movimento pubblicano una serie di articoli per la riforma dell’articolo 419 del codice penale: devastazione e saccheggio. Qui abbiamo spiegato perché.
Pubblicato da Milano in Movimento
“Art. 419 – Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito”.
Questo dunque il famigerato articolo del Codice Penale che regola il reato di devastazione e saccheggio.
All’alba di giovedì 12 Novembre un’operazione di polizia condotta dalla Procura e dalla Questura di Milano ha portato all’emissione di 10 misure cautelari in carcere (più 5 denunciati a piede libero) per i fatti del Primo Maggio NoExpo 2015 a Milano.
Dei 10 arresti 4 sono stati eseguiti a Milano (uno degli indagati risulta irreperibile) e 5 in Grecia. Gli attivisti italiani sono in carcerazione preventiva mentre i Greci sono stati liberati il giorno successivo al loro arresto con obbligo di firma.
L’Italia ha chiesto l’estradizione dei 5 manifestanti greci sollevando più di una perplessità nel paese ellenico.
Perplessità dettate sia dall’abnormità della pena prevista per aver partecipato a degli scontri in una manifestazione di piazza, sia per l’abominio giuridico del “concorso psichico” (di cui parleremo), sia per il fatto che richieste di estradizione del genere sono un’assoluta rarità e generalmente sono giunte in Grecia per questioni riguardanti gruppi armati rivoluzionari (i casi specifici riguardano il gruppo armato greco “17 Novembre” e militanti della guerriglia curda) e non cortei politici.
Il 10 Dicembre il Tribunale del Riesame ha concesso i domiciliari a 2 dei 4 detenuti a Milano.
Tra il 7 e l’11 Gennaio si sono svolte, davanti alla Corte d’Appello di Atene (presidiata da centinaia di solidali) le udienze per l’estradizione dei cinque studenti. La corte ha rifiutato l’estradizione annullando le misure cautelari. I motivi della decisione non sono ancora pubblici. Probabilmente ha inciso anche il fatto che la giurisprudenza greca non prevede un reato con pene del genere che vada a colpire la conflittualità di piazza. In un paese “abituato” a livelli di conflitto sociale elevatissimi le richieste delle autorità italiane sono sembrate subito sproporzionate.
Ma torniamo all’articolo 419 del Codice Penale.
Il primo elemento rilevante delle discussione è il fatto che il reato è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con il Regio Decreto numero 1.938 del 19 Ottobre 1930 (entrato in vigore il Primo Luglio del 1931). Regio Decreto passato alla storia come “Codice Rocco” dal nome dell’allora Ministro della Giustizia Alfredo Rocco.
Se si guardano le date è evidente che il codice mette nero su bianco la struttura penale del regime autoritario fascista. Mussolini è al potere dal 1922 e nel 1930 la dittatura è pienamente consolidata. A metà degli anni ‘20, in coincidenza con la crisi del regime seguita al rapimento e all’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti da parte di una squadraccia di sicari fascisti, vengono infatti varate le leggi eccezionali del fascismo che trasformano il paese da una monarchia costituzionale a uno stato autoritario. Le “leggi fascistissime” ipotecano la libera stampa, vietano lo sciopero, sciolgono i sindacati, centralizzano i poteri nelle mani dell’esecutivo, costituiscono il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, istituiscono l’OVRA (la polizia segreta) e introducono il confino di polizia per gli antifascisti.
Una volta stabilizzato il regime, il “Codice Rocco” è il secondo passaggio. Una sorta di “fascistizzazione” del diritto penale. Giova ribadire il fatto che, nonostante il fascismo sia caduto in Italia nel 1943, moltissimi elementi del “Codice Rocco” sono sopravvissuti alla dittatura arrivando ai giorni nostri.
Se poi si va a leggere l’articolo 285 a cui la prima riga dell’articolo 419 fa riferimento non si può che sobbalzare sulla sedia. L’articolo 285 recita infatti: “Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con l’ergastolo”. Importante aggiungere che la pena iniziale prevista per questo reato era la morte, poi sostituita dall’ergastolo quando la pena capitale venne abrogata dall’ordinamento italiano nel 1947.
La prima riflessione pensando alla definizione “devastazione e saccheggio” corre immediatamente a fatti legati alla guerra (la prima immagine che salta alla mente è l’occupazione nazista dell’Italia dal’43 al ‘45) come avrebbero potuto essere le requisizioni operate da una forza occupante.
Il secondo pensiero è che le modalità repressive (sia poliziesche che giudiziarie) messe in campo da un regime totalitario come il fascismo per contrastare eventuali insorgenze sociali dovrebbero diversificarsi da quelle di uno stato di diritto democratico, ma evidentemente, per certi aspetti, questo non è così scontato.
Dopo la caduta del fascismo questo capo di imputazione venne contestato rarissimamente. Quasi mai si giunse a sentenze di condanna definitive tanto che, fino a qualche anno fa, prima che il reato diventasse “di moda”, mancava una vera e propria giurisprudenza a riguardo.
Esso è stato espressamente utilizzato per reprimere sommosse e moti di piazza a carattere insurrezionale. Non a caso venne contestato alcune volte nel clima tesissimo e di guerra civile latente immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’Italia era un paese in ginocchio e alla fame. Con livelli di disoccupazione e miseria oggi inimmaginabili.
Si trattava inoltre di un paese teatro di uno confronto ideologico molto duro. Un paese facente parte del blocco occidentale, ma con un Partito Comunista fortissimo e movimenti operai e contadini altrettanto forti.
Non a caso questo reato venne contestato per i moti insurrezionali che colpirono l’Italia subito dopo l’attentato al Segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti del 14 Luglio 1948.
Per capire il clima di quei giorni basti dire che il bilancio, nella sola giornata del 14 Luglio, fu di 14 morti e centinaia di feriti. Nei due giorni successivi all’attentato, si conteranno altri 16 morti e circa 600 feriti.
Un’altra delle rare occasioni di applicazione del reato fu nel 1960 durante i moti contro il Governo Tambroni (governo democristiano sostenuto dai voti dei fascisti del Movimento Sociale Italiano). Il 30 Giugno 1960 una gigantesca manifestazione antifascista sfociò in feroci scontri con le Forze dell’Ordine in un clima insurrezionale nel tentativo di impedire l’imminente congresso del MSI che doveva tenersi in città (e che venne annullato). Nei giorni successivi scontri si susseguirono in tutto il paese con molti morti tra i manifestanti. L’episodio più celebre è quello di Reggio Emilia quando, a seguito di una nutrita manifestazione sindacale antifascista con 20.000 partecipanti la Polizia mitragliò (furono sparati più di 500 colpi) i manifestanti uccidendo 5 ragazzi.
A Palermo, dove il reato fu contestato, furono fermate 364 persone, di cui 55 andarono a processo.
Successivamente questo articolo cadde praticamente nel dimenticatoio.
Questo anche nei pur duri e socialmente tesi anni ’70 punteggiati da centinaia di episodi di scontri di piazza estremamente violenti un po’ in tutto il paese.
Uno dei rari settori di utilizzo del reato in quel periodo è stato per contrastare le rivolte nella carceri italiane tra la fine degli anni ‘60 e i primissimi anni ‘80.
Rivolte che, giova ricordarlo, ai tempi spinsero i legislatori a una serie di riforme tendenti a migliorare le condizioni penose in cui versavano i penitenziari italiani.
Poi anni di silenzio fino al 1998 quando il reato venne rimesso in campo dalla Procura di Torino nel quadro delle indagini sul corteo nazionale dei centri sociali del 4 Aprile 1998. Corteo in cui era stato pesantemente danneggiato il nuovo Palazzo di Giustizia della città sabauda, ai tempi ancora in costruzione.
Da lì l’utilizzo dell’articolo 419 è aumentato a dismisura. Si è andati dal G8 di Genova agli scontri di Piazza San Giovanni a Roma il 15 Ottobre 2011 passando per l’11 Marzo 2006 a Milano. Di qualche giorno fa la sentenza di condanna di primo grado per 4 imputati per la manifestazione antifascista di Cremona del Gennaio 2015.
Ora il Primo Maggio.
Sembra che “devastazione e saccheggio” sia diventato un valido strumento di contrasto della conflittualità di piazza. Questo anche grazie alla “spada di damocle” del concorso morale per cui la mera presenza sul luogo degli incidenti di piazza renda possibile una condanna ad anni di carcere.
Negli ultimi 15 anni la magistratura ha messo in campo veri e propri esperimenti repressivi come quelli legati alla contestazione dell’aggravante del terrorismo per le lotte contro il TAV in Val di Susa.
La sperimentazione degli effetti nefasti dell’articolo 419 fa parte di questo “laboratorio repressivo”.