A Lima il clima è incandescente. E non solo perché ormai da qualche mese è arrivata l’estate e la temperatura non scende sotto i trenta gradi. Ma perché mancano esattamente solo due mesi al primo turno delle elezioni presidenziali.
Chiara Trozzo, da Lima
Il 10 aprile il popolo peruviano sarà chiamato a decidere chi sarà alla guida del paese per i prossimi cinque anni, oltre a delineare il colore e le sembianze del nuovo Congreso. E c’è solo l’imbarazzo della scelta, in quanto a correre per la poltrona più ambita ci sono ben 19 candidati, con altrettante liste al seguito.
E’ lecito chiedersi se questo sia il sintomo di una democrazia in salute o la fotografia di una realtà caotica, problematica e contradditoria, in cui la dilagante corruzione è ormai una costante della vita quotidiana, giacché, secondo quanto riportato oggi da uno dei più importanti giornali nazionali, le principali liste presentano vari candidati con precedenti penali o coinvolti in processi in corso. La risposta potrebbe essere ovvia e scontata, ma conviene aspettare questi ultimi 60 giorni, in modo da avere qualche certezza in più.
Di certo possiamo affermare che all’interno di questo marasma, alcuni dei molteplici candidati sono riusciti a imporsi più di altri, non di certo grazie ad un programma innovativo ed efficace, ma per un retaggio storico e familiare che purtroppo non si riesce a scardinare.
La prova lampante di quanto detto è Keiko Fujimori che, alla guida di Fuerza Popular, il partito conservatore (se così si può definirlo), ereditato dal padre, Alberto Fujimori, storico presidente durante gli anni più complicati per il paese, è in testa ai sondaggi con più del 30%. Ed è proprio questa pesante eredità a consentirle tutta questa popolarità: “Essere la figlia di” è una garanzia nonostante il suo programma sia l’espressione del populismo più becero, poiché da molti suo padre è ricordato come colui che ha sollevato il Perù dalla crisi economica di fine anni ’80 ed ha di fatto sconfitto il “terrorismo” ad opera di Sendero Luminoso, il movimento di rivoluzione comunista che negli anni ’80 ha cercato invano di instaurare il socialismo nel paese. Che poi il prezzo da pagare siano state migliaia di morti e una profonda ferita che ancora non si rimargina e che la ricetta neoliberista abbia fatto non pochi danni in fondo poco importa.
Il retaggio del passato, però, non sempre è positivo, anzi a volte può scatenare un forte effetto boomerang, proprio come sta succedendo all’ex presidente Alan Garcia che, alla testa della coalizione Alianza Popular (composta dallo storico APRA, dal Partido Popular Cristiano e dal centrista Vamos Peru), non supera neanche il 5%.
I suoi due precedenti mandati pesano come macigni: se durante il primo la crisi economica e la violenza hanno messo in ginocchio il paese; nel secondo la crescita del PIL e la lotta contro l’inflazione sono state vanificate da una disastrosa politica ambientale e da un aumento del conflitto sociale.
Sicuramente più intrigante è la lotta per il secondo posto. Secondo gli ultimi sondaggi, a contendersela sono il liberale e progressista Julio Guzmán, alla guida del partito centrista Todos por el Peru, e Pedro Pablo Kuczynski, candidato di punta del partito “Peruvianos por el Kambio”, economista di origini polacche ed ex ministro delle Finanze durante il governo Toledo. Nessuno dei due rappresenta una valida alternativa: se il primo propone un’economia sociale di mercato che trovi il giusto equilibrio tra il ruolo statale e quello dei mercati e si fa fautore dei più nobili principi democratici, il secondo risponde con aumento della sicurezza, riduzione delle tasse e promozione del dinamismo economico attraverso una diversificazione delle esportazioni.
Insomma manca una vera e propria rottura con il passato. Ci vorrebbe una donna giovane, in gamba, con idee innovatrici quali la sviluppo delle piccole e medie imprese come motore dell’economia, la riforma di un iniquo e clientelare sistema universitario, la rinegoziazione degli accordi di libero commercio e quelli con le grandi imprese petrolifere che di fatto imprigionano il paese e non concedono grandi spazi di manovra.
In realtà, a leggerlo bene questo sembra proprio il programma elettorale di Veronika Mendoza, la giovane 35enne psicologa peruviana, candidata di punta del Frente Amplio, che negli ultimi giorni sta ottenendo consensi grazie anche alla recente intervista in cui, di fronte al tentativo del giornalista di sabotarla salutandola in francese (dato che sua madre è francese), risponde in quechua, una delle lingue indigene del paese, mettendo in forte difficoltà il suo interlocutore. Ma tutto questo non basta, in quanto gli ultimi sondaggi la danno solo al 3%: é troppo innovatrice e troppo di sinistra, e ancora oggi purtroppo la sinistra peruviana è sinonimo di Sendero Luminoso.
Per sapere come andrà a finire, tocca aspettare ancora qualche mese. Di certo il Perù ha bisogno di fare i conti con il suo passato ingombrante e trovare il coraggio per affacciarsi al futuro, magari proprio cominciando a provarci da oggi.
(Questo articolo
rappresenta il punto di vista dell’autrice,
espresso a titolo personale)