Uno strano rapporto quello tra Cuba e Stati Uniti.
di Alfredo Somoza
La grande nazione del Nord combatté qui una guerra contro la Spagna alla fine dell’800 per ribadire il principio di “America agli americani”, che era la visione portante della politica a stelle e strisce per il continente americano enunciata dal presidente Monroe nel 1823. Una geopolitica che rompeva con il passato del continente americano rimuovendo i residui di presenza coloniale europea, come quella spagnola a Cuba, grazie al ruolo egemone della nuova potenza con capitale a Washington.
A guerra vinta Cuba fu protettorato statunitense fino alla costituzione del 1901 che doveva però salvaguardare le leggi introdotte durante l’occupazione. In sostanza Cuba nasceva come paese indipendente, ma in libertà sorvegliata. Il “forte legame” tra i due paesi si consoliderà nel tempo fino alla sua fase terminale, durante la dittatura di Fulgencio Batista che verrà abbattuto dalla rivoluzione guidata da Fidel Castro nel 1959.
Il rapporto di amore-odio tra Cuba e Usa si svilupperà quindi solo sul versante dell’odio nei lunghi decenni della Guerra Fredda, fino alla recentissima ricomposizione.
Due paesi con tante cose in comune che si sono reciprocamente influenzati sul terreno della cultura, dello sport, della musica e della politica. Due dei tre più importanti candidati del Partito Repubblicano alle Primarie in corso sono figli di cubani, di quella diaspora che praticamente ha colonizzato lo Stato della Florida. Ma la visita all’isola di Barack Obama, è paradossalmente un evento anomalo. Nel periodo in cui Cuba era praticamente una loro colonia, ricevete solo la visita di un altro presidente, Calvin Coolidge, nel 1928. Per Barack Obama la situazione sarà molto meno favorevole rispetto al suo predecessore, perché i rapporti con Cuba non sono stati ancora normalizzati del tutto e perché sarà ricevuto da Raul Castro. Un cognome che rappresenta una sconfitta storica per Washington, quella di non essere riusciti, con le buone e soprattutto con le cattive, a sbarazzarsi dei fratelli Castro e dell’unica esperienza comunista dell’Emisfero Occidentale.
Un regime antagonista, quello castrista, alla loro politica estera in America Latina e Africa che però oggi molti pensano possa diventare prezioso alleato. Cuba ha avuto e mantenuto nel tempo, da quando era colonia spagnola, una centralità politica e culturale nell’area caraibica, allargata all’intero continente dopo la vittoria della rivoluzione.
Un paese ancora influente, come ha dimostrato portando a termine la mediazione tra Stato e guerriglia colombiana che per 2 anni hanno lavorato all’Avana per raggiungere un accordo che sarà firmato a fine marzo a Bogotá. Un paese al centro delle attenzioni del Vaticano, perché rimasto fondamentalmente cattolico in un continente passato in buona parte alle religioni evangeliste e pentecostali. Cuba è anche il crocevia degli investimenti di paesi che altrove sono in feroce competizione. Sull’isola stanno arrivando capitali brasiliani, cinesi, europei e prestissimo statunitensi. Qualcuno immagina l’isola come un futuro hub per diplomazia e affari all’incrocio tra Ovest ed est, tra Nord e Sud.
Sono questi i motivi che spingono Obama a recarsi a Cuba prima di finire il suo mandato. Non dovendosi ricandidare, ha scelto di assecondare la comunità degli affari statunitensi e le famiglie di oriundi cubani che non sapevano più cosa farsene dell’embargo e sognavano la possibilità di potere investire e di muoversi liberamente.
La visita di Obama passerà alla storia, come sono passati alla storia la visita di Francesco, l’abbraccio con il Patriarca Kiril, la conclusione positiva degli accordi di pace tra i colombiani. Molti, troppi, eventi storici concentrati in un solo punto del pianeta nel giro di un anno. Non può essere un caso.