di Mathias Rollot
Ridotti a bere poca acqua durante i lunghi tragitti in metrò. Scoraggiati in anticipo, reticenti all’idea d’avventurarci nelle strade e nei viali, nelle piazze e nei parchi che incontriamo.
Costretti a considerare i nostri spostamenti, a tracciare i nostri itinerari in funzione delle rare toelette che vi si trovano. Vergognosi di ordinare un caffè che non beviamo, semplicemente per approfittare di un servizio igienico.
L’urina e la città troppo spesso non vanno d’accordo.
E nel momento in cui prendiamo coscienza dell’assurdità di alcune situazioni e ci poniamo di fronte al carattere totalitario di una società che vanta i meriti delle nano tecnologie ma non offre le condizioni minime per urinare e defecare decentemente, finalmente ci rediamo conto di un fatto inequivocabile: la civiltà del progresso tecnologico è un progetto di società che dimentica i nostri bisogni più elementari e più evidenti.
Eppure fare pipì è l’atto più spontaneo, semplice e universale che ci sia: il desiderio che ci spinge o il sollievo che ci procura quando lo espletiamo, è una delle cose più condivise al mondo.
E’ una pena scrivere di cose talmente evidenti. Questo la dice lunga sulla trascuratezza con cui oggi ci confrontiamo: si dimentica l’essere, i suoi bisogni e i suoi modi primari di funzionamento.
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