tra la Cina e gli altri stati che si affacciano sul mar Cinese meridionale
per il controllo di isole e reff. Luoghi apparentemente inabitabili che però hanno un ruolo geopolitico cruciale
di Teo Butturini
«Europe is a landscape; East Asia a seascape. Therein lies a crucial difference between the 20th and 21st centuries». è con queste parole che, nel 2011, Foreign Policy esordiva sulle possibili evoluzioni geopolitiche delle tensioni nel Mare Cinese Meridionale (di qui in poi MCM), comparandolo con l’Europa come possibile scenario di future guerre. Già 12 anni prima, nel lontano 1999, TIME proponeva un articolo chiamato Reef Wars, in cui si discuteva delle contese nell’area, dove i Filippini sospettavano l’imminente costruzione, da parte Cinese, di eliporti su alcune isole disabitate, nonostante Pechino affermasse fossero meramente strutture erette da pescatori.
I problemi nel MCM non sono quindi nulla di nuovo, benché gli avvenimenti degli ultimi mesi denotino un’evidente escalation da parte del governo Cinese, che sembra voler testare le reazioni dei propri vicini e dei loro partner d’oltre oceano.
Dove
Iniziamo dai confini geografici: a nord il MCM è delimitato dalla costa sud della Cina (e da Taiwan), ad est dalle Filippine, a sud dal Borneo e ad ovest da Vietnam e Cambogia. Si tratta della terza porzione di mare più grande al mondo (dopo il Mar dei Coralli ed il Mar Arabico [ed, ovviamente, gli oceani]) e comprende un altissimo numero di isole, atolli, reef rocciosi e corallini e secche, per la maggior parte disabitati. È proprio su questi apparentemente insignificanti lembi di terra, a volte semi sommersi, che vertono le dispute che negli ultimi mesi stanno innalzando la tensione tra le nazioni che si affacciano sul MCM. I problemi sono legati in particolare alle pretese sulle isole Paracel e sulle isole Spratly.
Un po’ di storia
Le Paracel, durante la Seconda Guerra Mondiale, erano controllate dal Giappone e vennero consegnate alla Cina alla fine delle ostilità. Nel 1947, questa disegnò delle mappe che comprendevano in territorio Cinese l’intero MCM, nonostante i Francesi (al tempo occupanti vaste zone dell’Indocina) cercassero di rivendicare parte dell’area marittima.
Successivamente il Trattato di San Francisco (1951) e gli accordi di Ginevra (1954) assegnarono la sovranità sull’arcipelago al Vietnam che, essendo al tempo alleato della Cina (la quale forniva ingente supporto militare nella guerra contro i Francesi prima e contro l’invasione Statunitense poi), avvallò per convenienza le pretese della Repubblica Popolare Cinese (PRC). Nel 1974, però, vi fu una battaglia tra la flotta Cinese e quella Vietnamita, dove quest’ultima fu sconfitta, e da allora la Cina ha in sostanza il completo controllo delle Paracel, nonostante Vietnam e Taiwan (ROC) non si trovino esattamente concordi al riguardo.
In ogni caso già dal 1990 esiste un aeroporto militare Cinese su Woody Island, e nel luglio 2012 Pechino ha creato la nuova prefettura di Sansha, con un proprio governo ed un presidio militare preposto al controllo dell’area, comprendente tutte le isole del MCM.
La situazione nelle Spratly è, se possibile, ancora più complessa a causa della moltitudine di nazioni che reclamano sovranità sull’intero arcipelago e/o su parte di esso: Brunei (che però rivendica solo tratti di mare), Cina, Malesia, Filippine, Taiwan e Vietnam.
Inizialmente parte delle mire colonizzatrici Francesi, che avevano installato una base militare sull’isola di Taiping (l’unica abitabile, apparentemente) prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, finirono anch’esse sotto controllo Giapponese durante il conflitto, per poi divenire perenne oggetto di contesa dalla fine delle ostilità.
La Cina, già dalla metà degli anni ’90, ha iniziato a costruire delle strutture sul cosiddetto Mischief Reef, aggiungendone di ulteriori nel 1999, nonostante le proteste del governo Filippino (che nello stesso anno ha intenzionalmente spiaggiato una nave militare su un piccolo atollo nella Spratly, facendolo divenire una guarnigione dove tutt’ora sono stanziate alcune truppe). Gli stessi Filippini spiegano che «I cinesi hanno una routine precisa, quando iniziano a reclamare un nuovo reef: inizialmente posizionano delle boe di segnalazione, per poi costruire demarcazioni in cemento. Seguono con baracche in legno o bambù, e se non ricevono alcuna protesta continuano fino ad edificare fortificazioni militari permanenti» (fonte TIME).
Dal 2000 in poi ci sono stati diversi momenti di tensione in varie aree del MCM, che comprendono arresti di pescatori accusati di sconfinamento, confisca del pescato, collisioni tra vascelli di svariate nazionalità (anche militari), cannonate di avvertimento tra navi da guerra di diverse nazionalità ed esercitazioni militari. Per rendere l’idea: pare che nel 2009 un sottomarino Cinese abbia addirittura urtato il sonar di una nave da guerra Americana.
Nel luglio 2011, PRC, Brunei, Malesia, Filippine e Vietnam firmano un accordo, stilando delle linee guida per la risoluzione delle dispute riguardanti il MCM. Ma, già nel settembre del 2011, il Ministero degli Esteri Cinese dichiarava in una nota: «China enjoys indisputable sovereignty over the South China Sea and the islands. China’s stand is based on historical facts and international law» («la Cina gode di un’indiscutibile sovranità sul MCM e sulle isole. La posizione cinese è basata su fatti storici e su leggi internazionali».).
Come se non bastassero le precedenti provocazioni, è del 2012 il nuovo passaporto Cinese, accolto con proteste dai vicini, nel quale la cartina stampata sulle pagine include le isole contese. Nel maggio 2014 ci fu una collisione tra navi Cinesi e Vietnamite, causata dal tentativo da parte del governo di Hanoi di fermare una piattaforma petrolifera inviata da Pechino nella zona delle Paracel. Alla fine del mese, dopo ripetuti momenti di tensione, una barca Vietnamita affondò, con pesanti polemiche ed accuse reciproche su chi fosse o meno il colpevole, con la Cina che affermava di aver solo cercato di difendersi, nonostante i video mostrassero una verità differente.
Oggi
Nello stesso anno diversi media internazionali iniziarono a pubblicare una serie di report, mostrando come la Cina stesse tentando ad “allargare” scogli ed isole, spostando materiale roccioso dal fondo del mare. Dalle immagini satellitari disponibili in rete è possibile vedere come già tra il maggio e l’agosto del 2014 alcuni atolli, su cui fino ad un anno prima erano presenti solo piccole strutture di supporto alla pesca, si siano trasformati in vere e proprie isole artificiali, con strutture in cemento, canali di attracco per le navi ed eliporti. Nel febbraio del 2015 il Wall Street Journal mostra che sul Johnson South Reef (nelle Spratly) è presente, dal gennaio dello stesso anno, un cementificio.
Sempre nello stesso periodo si diffondono notizie secondo cui il governo della PRC ha iniziato ad edificare basi aree su alcune delle isole artificiali costruite nel Fiery Cross Reef (Spratly Islands).
La Cina non conferma e non smentisce, limitandosi a dichiarare che eventuali costruzioni hanno la sola funzione di avamposti per la difesa dei confini nazionali e di sostegno alle navi da pesca presenti nell’area, ma le proteste internazionali (non solo degli stati coinvolti nelle dispute, ma anche degli USA) non si placano.
Alla fine di Ottobre 2015 gli Stati Uniti decidono di inviare alcune navi da guerra nelle zone contese, per ribadire il concetto della libertà di navigazione in un’area cruciale per le rotte delle navi commerciali di tutto il globo. Il 27 del mese il primo vascello dell’US Navy si avvicina a meno di 12 miglia nautiche, il limite riconosciuto per le acque territoriali, con proteste del governo Cinese, che parla di inutile provocazione, ma senza che si verifichi alcun contatto ravvicinato tra le imbarcazioni. Gli scambi di battute tra gli equipaggi Cinese e Statunitense sono in realtà molto distesi, nonostante le reazioni diplomatiche da entrambe le parti risultino decisamente più rigide.
L’apparente stato di bassa tensione tra le truppe non ha però cambiato l’atteggiamento delle nazioni in gioco. Sono di queste ultime settimane, infatti, le nuove immagini satellitari che mostrano rampe lanciamissili montate su camion e posizionate su Woody Island (Paracel). Di mercoledì 24 Febbraio 2016 è invece la notizia dell’arrivo di alcuni aerei da combattimento sulla stessa isola, giusto pochi giorni dopo l’incontro tra il Segretario di Stato Statunitense John Kerry ed il Ministro degli Esteri Cinese Wan Yi, durante il quale la Cina ha minimizzato la situazione, paragonando la militarizzazione degli arcipelaghi alla presenza di basi USA nelle Hawaii.
Perché
Secondo la Convenzione sulle Leggi del Mare delle Nazioni Unite, le cosiddette EEZ (Exclusive Economic Zone) delimitano le aree sulle quali uno stato ha speciali diritti sullo sfruttamento delle risorse sottomarine, in cui sono inclusi: diritti di pesca, estrazione di materie prima dai fondali, produzione di energia eolica e idroelettrica.
La definizione delle Zone Economiche Esclusive comprende le porzioni di mare che vanno dalla costa fino a duecento miglia nautiche, ed è qui che iniziano i problemi.
Le isole su cui un determinato stato ha sovranità, infatti, sono il limite da cui le duecento miglia vengono calcolate, e questo ovviamente può determinare grandissime variazioni sull’estensione delle aree di influenza. Il concetto di costa non dovrebbe comprendere (secondo la United Nations Convention on the Law of the Sea [UNCLOS]) gli scogli, le secche e atolli semi sommersi. Nella Parte VII dell’UNCLOS, infatti, si legge chiaramente: «Rocks which cannot sustain human habitation or economic life of their own shall have no exclusive economic zone…» («Le rocce che non possono sostenere abitazione umana o vita economica non danno vita ad alcuna EZZ…»). Quindi, anche se le rivendicazioni su detti scogli si rivelassero fondate, secondo un tribunale internazionale, le leggi in vigore limiterebbero l’influenza Cinese intorno alle disabitate Paracel e Spratly alle dodici miglia nautiche (ovvero quello delle acque territoriali). Ma con la costruzione di queste nuove isole e le relative fabbriche, asili ed abitazioni che sono seguite, si aprono scenari del tutto nuovi.
Le proteste degli altri stati che avanzano pretese nel MCM non sembrano del tutto ingiustificate, dato che nel 2002 una riunione dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) aveva stabilito che i membri si sarebbero astenuti dal condurre attività che avrebbero complicato le dispute , ovvero di evitare di abitare o rendere abitabili le isole deserte. Il governo di Pechino, tuttavia, non sembra dar peso alla cosa e procede con la “colonizzazione”. L’ampliamento delle Zone Economiche Esclusive sta comportando una sovrapposizione delle stesse, o almeno delle EZZ reclamate dai vari stati, rendendo terribilmente complicato capire dove arriva l’influenza di ciascuna delle parti in causa (in linea di principio qualsiasi punto di mare dovrebbe rimanere sotto la giurisdizione del paese le cui coste sono più vicine).
Ma cosa rende così speciale questo tratto di mare? Le motivazioni sono diverse, dalla rinnovata assertività della Cina (in cinese 中国 [Zhōngguó], il Regno di Mezzo, che per secoli ha dominato l’intera Asia), da anni ormai tornata al suo ruolo di super-potenza non solo regionale, agli importantissimi interessi economici in ballo.
Nel MCM, oltre all’ovvia questione sui diritti di pesca (in un momento in cui l’overfishing a livello globale ha ridotto enormemente gli stock), vi sono accesi scontri a causa delle grandi quantità di petrolio e gas naturale nascoste sotto ai fondali e che le nuove tecnologie di estrazione stanno rendendo economicamente interessanti. Le stime sull’entità delle riserve sono discordanti, la Cina stima almeno centotrenta miliardi di barili di petrolio e la World Bank parla di novecento trilioni di metri cubi di gas naturale, ma il consensus internazionale è per quantità decisamente inferiori (Bloomberg in una infografica riporta undici miliardi di barili di greggio e centonovanta trilioni di metri cubi di gas, sufficienti comunque a rimpiazzare le importazioni cinesi per rispettivamente cinque e centodue anni, secondo i calcoli).
Non da ultimo viene anche sollevato il problema (soprattutto dagli USA, che però paradossalmente non sono tra i firmatari dell’UNCLOS) della libertà di navigazione in una porzione di mare in cui transitano ogni anno il 30% delle merci spedite via nave ed il 50% delle esportazioni di petrolio di tutto il pianeta. Come se non bastasse, più della metà dei dieci porti merci più importanti al mondo si affacciano sul MCM.
Gli interessi in gioco sono altissimi, e così il rischio di escalation militare nel caso in cui le dichiarazioni sempre più aggressive degli stati concorrenti si dovessero tramutare in azione. Anche perché praticamente tutti gli attori sono più o meno concentrati contro la Cina, e sono dipendenti dal supporto Statunitense a livello diplomatico e militare. Con la rapida crescita economica, e la conseguente fame di risorse, dei partner Asiatici degli USA, le tensioni potrebbero facilmente esacerbarsi e creare le condizioni per una nuova Guerra Fredda, i cui sviluppi, in uno scacchiere economico globale ormai completamente interconnesso, sono assolutamente imprevedibili.
L’immagine in apertura è tratta dal video “U.S. Navy P-8A Poseidon flies over new islands in South China Sea #2” su Youtube in CC