di Christian Elia
La prima volta, per ore, senti la necessità di camminarla. Calpestarle, quelle pietre. Toccarle. La vita della porta di Damasco e la luce della porta dei Leoni, i cancelli verdi che chiudono i negozi, le vie strette e tortuose, i gradini, che se non ci badi puoi finire lungo disteso.
Perché non la senti Gerusalemme se non sai aprirti a tutto. Quello che guardi, scrutando il cielo, alzando lo sguardo nel dedalo di viuzze che sembrano chiudersi attorno a te, avvicinandosi sempre di più.
Quello che senti, tra i venditori, i caffè, i carretti trascinati a rotta di collo, magari con un’improbabile camera d’aria usata come freno, le spezie e gli odori, si mangia 24 ore al giorno, si cucina anche di più.
La città vecchia di Gerusalemme è una sfida ai sensi. Perché ne vorresti avere di più. Ti servono mille occhi, per guardare in alto e in basso, a destra e a sinistra. Ti servirebbero cento occhi, per cogliere i colori, e mille orecchie per i suoni. Vorresti mille mani, per lasciarle scorrere su quelle pietre millenarie.
Ti può ubriacare, Gerusalemme. Perché tutto è stretto, compresso, non basta. Non riesce ad appagare la sete che il mondo ha di lei. Per i cristiani e i musulmani, gli ebrei e gli ortodossi, ma anche per i copti e tutti gli altri.
Per gli arabi e i discendenti degli europei, dell’est e dell’ovest, o chi qui ci è nato. E l’anima armena, quella del tocco coloniale, quella occupata, quella santa, quella contesa, quella araba che resiste all’annessione, quella ebraica che tenta di farsi unica.
Quando la guardi dall’alto, oppure da un caffè, ti sembra uno splendido plastico, che tutti tentano di modificare, abitare, colonizzare, gestire, possedere. E Gerusalemme, che custodisce nelle sue pietre la follia e la furbizia di mille popoli e migliaia di anni, non vuole essere di nessuno.
Sfugge, cambia, restando sempre uguale. Custodendo il suo cuore nella città vecchia, mentre fuori dalle mura antiche tutto è in perenne mutamento. Dalle case espropriate ai palestinesi, alle nuove case dei coloni. Ci trovi un quartiere intero che vive come nella Polonia dell’800 e un locale all’ultima moda.
Forse Gerusalemme è semplicemente troppo. Non basta, per tutti. Come al Santo Sepolcro, dove la posizione di una scala comporta risse epiche tra frati improbabili, mentre accoglie milioni di pellegrini, di ogni fede, accanto a reparti militari israeliani che giurano al muro del Pianto, mentre famiglie intere vivono il parco della moschea di al-Aqsa come naturale continuazione del salotto di casa
E’ questo che, un giorno, ci interrogherà. Gerusalemme non è di nessuno di noi mortali, di passaggio su questa terra, con le nostre follie e i nostri integralismi. Non è e non potrà mai essere di nessuno, perché di nessuno è stata mai.
Gerusalemme appartiene solo a se stessa e a tutti coloro che la camminano, ma solo per il tempo che Gerusalemme vorrà. Poi è tempo di andar via, mentre Gerusalemme resterà là, attaccata e difesa dalle sue pietre.
Nessuno di quelli che sono passati di qui lo hanno capito fino in fondo. Tutti, a modo loro e in epoche differenti, hanno tentato di pensarla, occuparla, governarla, sottometterla. Mentre Gerusalemme gli sfuggiva via da ogni parte, forte della sua eternità. E a noi, di passaggio, non resta che guardarla, perché capirla è difficile, possederla impossibile.