Questo è la prima di una serie di storie che raccontano di un viaggio, o meglio, della continuazione di un percorso iniziato un anno fa e che aspira a conoscere le sfumature di un paese, il Messico. Non solo spiagge e siti archeologici, quindi, ma nemmeno narcos e corruzione. Vi racconterò eterni viaggi in bus, di periferie di città, della Selva Lacandona, delle vite dei migranti che rischiano tutto per un sogno e molto altro.
di Camilla Camilli
‘Quando torni in Italia?’
‘A maggio?’
‘Mi porti con te?’
Il tempo qui assume un’altra valenza: i giorni sono l’uno simile all’altro e sembra dilatarsi tanto che un giorno sembra una settimana. Il caldo e il forte vento fanno da sfondo alla routine della casa per migranti Hermanos en el Camino di Ixtepec. Fondata nel febbraio nel 2007 da Padre Alejandro Solalinde è divenuta ben presto un punto di riferimento per i migranti centroamericani che tentano il lungo e pericolo viaggio attraverso il Messico. Un viaggio che per alcuni termina proprio qui, per volontà propria e purtroppo, come spesso succede, a causa della mala suerte che li ha messi sullo stesso cammino di violenza e corruzione.
Nella periferia della città di Ixtepec, a pochi metri dai binari che orientano il viaggio di molti,l’accoglienza e la convivenza diventano un esempio concreto e virtuoso, dove la vita dei volontari si mescola insieme a quella dei migranti.
Si arriva qui con l’idea di fare qualcosa per loro, ma si finisce con farla insieme. Si condivide la comida, la pulizia del luogo, ma soprattutto le ore passate ad aspettare, magari seduti su una delle panchine all’ombra di un albero o nel piccolo anfiteatro, rivolgendo lo sguardo ai binari.
Sono circa 200 i migranti. Circa perché i numeri, cosi come altre cose, sono definizioni difficili da dare.
Se prima la maggior parte si fermava al massimo tre giorni e poi continuava il cammino; ora moltissimi decidono di fermarsi e fare richiesta di asilo in Messico. E di aspettare,ovviamente. La burocrazia messicana ha i suoi tempi. Ma non si sta con le mani in mano, non più almeno. Infatti, ora, volontari e ‘residentes’ collaborano in alcune attività, come per esempio mantenere pulito lo spazio, aiutare un po’ la cucina, preparare la legna per il fuoco ecc. Poche ore a settimana, ma che servono per occupare per un po’ le giornate e che accrescono il senso di condivisione e di cura di un luogo cosi prezioso.
‘Non importa se mi hanno rubato tutto il denaro che avevo. Non mi interessa sporgere denuncia. Voglio solo proseguire il mio viaggio’ . Sono parole frequenti che capita di sentirsi dire da molti che passano di qui. Gli assalti, alla fine del giorno, sono purtroppo una costante. E la cosa, ormai non più sconvolgente qui in Messico, è che a compierli sono molto spesso la polizia o i funzionari dell’immigrazione.
C’è chi sta tentando per la quarta volta di raggiungere ‘il sogno americano’, chi invece come Daniel mi confessa che fino a quando non otterrà i documenti non si muoverà qui. Il viaggio è davvero troppo pericoloso, tanto che è partito senza dire nulla alla madre ‘per non farla preoccupare’. La prima volta che ha cercato di raggiungere il nord è stato sequestrato dai Los Zetas e insieme a moltissimi altri rinchiuso per cinque giorni in una casa, tra le montagne attorno Reynosa, mentre i suoi aguzzini tentavano di estorcere denaro ai famigliari negli Stati Uniti.
Per alcuni raccontare la propria storia è come liberarsi di un pesante fardello, un modo per sentirsi un po’ più libero. E ascoltare è forse la qualità che qui conta di più. A volte una qualità che può sembrare banale, ma che qui è forse la cosa più preziosa.
‘Quando parlo con te mi sento meno solo’.