Un bicchier d’acqua con José María Sison, fondatore del Partito Comunista delle Filippine e del suo braccio armato
Testo e foto di Paolo Rosi
“A rifondare il Partito Comunista delle Filippine fummo in dodici, più sei sindacalisti che sorvegliavano il posto” racconta José María Sison, scrittore, attivista e fondatore del Partido Komunista ng Pilipinas (CPP in inglese) nonché del New People’s Army (NPA), che da quasi mezzo secolo portano avanti, contro il governo centrale di Manila, una delle più longeve insurrezioni comuniste della storia.
Il posto è un barrio di Alaminos: città relativamente piccola dell’isola di Luzon. L’anno è il 1968: nel pieno della Rivoluzione Culturale di Mao; lo stesso di Mỹ Lai in Vietnam e di Praga. “L’esercito nacque invece nel gennaio del ’69 a circa 150 chilometri dalla Capitale, nella provincia di Tarlac. All’inizio eravamo 64 guerriglieri compresi quelli disarmati, con 9 fucili d’assalto automatici, qualche pistola e vecchi fucili giapponesi a colpo singolo”, dice Sison, “E Marcos [presidente poi dittatore delle Filippine dal 1965 al 1981, ndr] rispose subito con l’operazione Profilassi, mandando migliaia di soldati e poliziotti.”
Da quel momento José María – aka Joma, Amado Guerrero, Armando Liwanag – si dedica all’addestramento dei quadri rivoluzionari, alla propaganda e al reclutamento delle nuove leve. Fino al ’77: anno dell’arresto. Che durerà nove anni. “A quel tempo eravamo già 1500. Avevamo attirato guerriglieri dal vecchio partito comunista e c’era anche chi avevano combattuto i giapponesi. Poi sì, il governo mi fece arrestare, ma il movimento non si fermò certo con me in carcere.”
Dopo la caduta di Marcos – un cleptocrate come lo definiranno poi alcuni – Sison viene liberato e da ricercatore universitario comincia a viaggiare per promuovere i propri scritti. Siamo nel 1986 e a capo del governo filippino si è insediata Corazon Aquino. Ma le cose con la nuova presidente non sembrano andare meglio e nel gennaio del 1987 Joma si trova esule in Europa, con una taglia sopra la testa e senza passaporto valido.
“Dopo aver toccato una ventina di paesi, sono stato anche in Italia ospite di Democrazia Proletaria, alla fine nell’88 ho richiesto asilo in Olanda”, chiosa il 77enne, “E anche se all’inizio le autorità sono state tolleranti, ad oggi sto ancora spettando il visto da rifugiato politico”.
Quasi trent’anni dopo l’arrivo nei Paesi Bassi e nonostante il Consiglio di Stato (Raad van State) abbia decretato per ben due volte, nel ’92 e nel ’95, che José María Sison è di fatto un rifugiato politico, l’uomo vive ancora nel limbo di interessi geopolitici internazionali. Dall’Olanda Sison non può essere infatti deportato – articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – ma il Ministero della Giustizia si rifiuta di consegnare materialmente il permesso di soggiorno
Una situazione kafkiana. Che si complica con un attentato fallito nell’Ottobre del 2000: “A due passi da qui”, continua Sison indicando la strada, “un commando filippino avrebbe dovuto accoltellarmi a morte. Poi scoprimmo da fonti interne che quel giorno gli assassini cambiarono idea vedendomi passeggiare in compagnia di un bambino.”
Poco dopo la situazione precipita. Nel pieno del post 9/11, agli inizi della Guerra Mondiale al Terrore, nelle Filippine cambia il governo come pure l’approccio nei confronti della questione Sison: il 12 agosto 2002, infatti, dieci giorni dopo la visita del segretario Colin Powell a Manila, il leader comunista viene inserito dal Dipartimento di Stato USA nella lista dei terroristi, assieme a CPP e NPA. “Nel giro di 24 ore mi hanno bloccato conto e telefono”, racconta Sison, “ho perso ogni sussidio statale, pensione, assicurazione sanitaria e via dicendo. Essere senza banca in un paese capitalista è un bel problema.”
Il governo dei Paesi Bassi non tarda a chiedere che Sison venga inserito anche nella Lista Europea dei Terroristi. Cinque anni dopo, Joma viene anche arrestato perché sospettato di aver ordinato due omicidi a sfondo politico nella madrepatria. “La polizia olandese un giorno mi ha chiamato, dicendo che aveva importanti sviluppi sull’attentato fallito sette anni prima. Arrivato al commissariato di Overbeek mi hanno arrestato. Ho passato una ventina di giorni in isolamento, ma alla fine mi hanno rilasciato per mancanza di prove.”
Le indagini continuano però per altri tre anni, nonostante nel 2009 José venga rimosso dalla black list europea. Bilancio finale: accuse archiviate senza giudizi di colpevolezza. Alcuni, tra cui il gruppo di attivisti International Committee to DEFEND, sono quindi convinti che contro lo storico fondatore del CPP vi sia stata, in qualche modo vi sia, una vera e propria persecuzione.
Da un lato gli sforzi del governo olandese per mantenere Sison un terrorista non sono mancati, come testimonia questo cable riservato battuto dall’ambasciata statunitense all’Aja, il 19 maggio 2009, e pubblicato poi da Wikileaks.
Dall’altro il fondatore di una delle più longeve insurrezioni comuniste della storia rimane, ad oggi, un rifugiato politico senza permesso di soggiorno; un terrorista – dicono gli USA – in esilio. “Mi hanno chiamato in molti modi. Sovversivo, insorgente, amigo… ma la prima volta che mi sono sentito dare del terrorista è stato proprio qui, in Olanda. Non temo però né operazioni della CIA né l’attacco di un drone. Sarebbe troppo anche per i fedeli alleati olandesi.”
Joma rimane così nella “lista dei cattivi”, ma sul suo attuale coinvolgimento nelle operazioni del New People’s Army taglia corto: “Adesso ho altre attività. Presiedo l’International League of Peoples’ Struggle e sono molto occupato. Senza contare che per gli standard borghesi dovrei essere in pensione da tempo…”
E forse è vero che il 77enne José María Sison – aka Joma, Amado Guerrero, Armando Liwanag – è in pensione. Del resto non sta scritto da nessuna parte che i pensionati non possano partecipare ai negoziati di pace tra governo filippino e NPA; o che non possano sedere al tavolo di un centro culturale, tra quadri di Kalashnikov e pugni alzati, circondati da scaffali di teoria marxista, maoista e leninista.