Così i benpensanti prima volevano sottrarre loro i muri, i supporti le superfici su cui dipingere, poi laddove non ci riuscirono e la bellezza dei colori e dei disegni riempì il muro, allora decidono di sottrarre l’opera, in un certo senso di rubarla
di Bruno Giorgini
Durante il ‘68 francese – si era di maggio – ci fu chi propose di trasferire nelle strade alcune opere d’arte alloggiate nei musei talchè diventassero integralmente visibili a tutti nello spazio pubblico, e andassero queste meraviglie a rendere meravigliosa la città, in ispecie quei quartieri poveri e brutti che allora ancora in Parigi esistevano. Non se ne fece niente, e magari era un’idea peregrina..però.
Molti anni dopo artisti militanti cominciarono a usare i muri urbani come supporto per le loro opere, i loro affreschi o graffiti che dir si voglia.
Furono osteggiati spesso dai benpensanti e, almeno nel bel paese, dalla legge che decretava i muri esterni degli immobili essere proprietà privata, nonchè accusandoli di danneggiamento, deturpazione e quant’altro. A Bologna precetti di legge scrupolosamente fatti propri nel loro senso più punitivo da zelanti magistrati.
E i cittadini locali anche organizzarono allegre brigate di ripulitori volontari del sacro muro, convinti così di compiere opera civica encomiabile. D’altra parte da sempre il bianco, sia esso il colore di un muro o il colore della pelle, fu simbolo di purezza e superiorità, la pura razza ariana e il puro bianco muro ariano. La pulizia avant tout, ça va sans dire. Etnica? Chissà, spesso le idee peggiori si propagano a partire da piccole cose che ingigantiscono, chi fece caso infatti a Hitler che appena designato cancelliere proibì agli ebrei la frequentazione delle piscine pubbliche. Si vide dopo come andò a finire.
Ma tornando a noi, accadde poi che alcuni di questi imbrattamuri divenissero artisti famosi nel mondo coi loro murales fotografati a destra e a manca che neppure Marylin Monroe.. e allora voilà, l’idea dei benpensanti “colti” di staccare le ormai consacrate “opere d’arte” dai muri per rinchiuderli in un museo senza nemmeno chiedere permesso. Piu precisamente Genus Bononiae, presieduta da Roversi Monaco già rettore dell’università col sostegno economico della Fondazione Carisbo, sta staccando i graffiti per una mostra sulla street art che dovrebbe inaugurarsi a Palazzo Pepoli giovedì prossmo, se non sbaglio.
Un’idea che fa a pugni con l’ispirazione e la volontà degli autori, graffitari, writer, tagger e altra fauna in specie notturna di imbrattatori, o piuttosto artisti di strada. Così i benpensanti prima volevano sottrarre loro i muri, i supporti le superfici su cui dipingere, poi laddove non ci riuscirono e la bellezza dei colori e dei disegni riempì il muro, allora decidono di sottrarre l’opera, in un certo senso di rubarla all’autore ma soprattutto alla città. Si tratta in senso proprio di una azione di violenza sociale e di alienazione alla cittadinanza di un bene che i creatori vollero comune nello spazio pubblico. Un gesto di violenza sociale che ha avuto una risposta nel rifiuto di Blu e dei suoi compagni di piegarsi a questa logica mercantile e francamente parecchio volgare. Blu – dal Guardian messo nella lista dei dieci migliori artisti di strada del mondo – ha quindi preferito, con altri, nella notte tra l’11 e 12 marzo, data che a Bologna vuole ancora dire qualcosa, quando morì Francesco Lo Russo sparato da un carabiniere nel 1977, scancellarli i suoi bellissimi graffiti.
Hanno scritto i Wu Ming – Blu non comunica coi e nei media, soltanto coi gesti della sua arte e poche parole sul suo blog :”La mostra “Street Art” è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi. Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento. Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade. Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato”.
Il tutto diventa grottesco se si pensa che, mentre alcuni oligarchi della nomenklatura cittadina facevano questa bella pensata, la magistratura condannava AliCè, per avere “imbrattato” una mezza dozzina di muri della città con le sue opere, alla pena di 800 euro d’ammenda con condanna penale. Per giunta tre compagni che aiutavano Blu alla bisogna del cancellamento sono stati a loro volta denunciati per “imbrattamento”, come si vede al peggio non c’è limite.
Che tu ci scriva o disegni sopra o che tu cancelli, il muro è intoccabile, come la proprietà privata, anzi in nome della proprietà privata. Mentre il muro al massimo è un interfaccia tra proprietà privata, la tua casa, e spazio pubblico, la strada.
Se Blu ha scelto di scancellare le sue opere – alcune veramente straordinarie – dai muri bolognesi, città astutissima come si vede, Ericailcane ha diffuso in rete un topo feroce con la didascalia “Zona derattizzata. Area bonificata da tombaroli, ladri di beni comuni, sedicenti difensori della cultura, restauratori senza scrupoli e curatori prezzolati, massoni, sequestratori impuniti dell’altrui opera di intelletto, adepti del Dio danaro e loro sudditi”. Ovvero:Bologna. Dove “Blu non ci sarà più finché i magnati magneranno.Per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi”.
Ps.
Allego stralci di un un volantino distribuito ai passanti durante il gesto di cancellazione.
“Il 18 marzo – si legge in un volantino distribuito ai passanti (il testo completo qui)- si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di ‘salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo’, trasformandole in pezzi da museo.[…] La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.Tutto questo meritava una risposta. […] Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi”.