di Alice Bellini
12 spunti di riflessione, consigli di approfondimento di vita pescati a sorte da un cappello. Per coloro che credono negli astri, non sarà di certo un caso che un determinato messaggio sia uscito per un determinato segno. Per chi invece le stelle le riconosce solo come lucine nel cielo, comunque una piccola riflessione non fa mai male, per alleggerire un po’ l’anima, ma senza volare via.
Usa la testa per vivere col cuore. Non ho idea di chi l’abbia scritto, su un muro in giro per Roma, ma comunque questa manciata di parole ha avuto il suo effetto, attirando la mia attenzione e facendo scattare qualcosa nella mia testa, una sensazione che forse m’è parsa più valida delle altre. E davvero non sembra un caso che questa scrittina sia stata estratta per i Capricorni, persone di grande testa e di enorme cuore, in continua ricerca di un equilibrio tra i due. In un tempo come il nostro, dove le paure sono aizzate e ben nutrite ogni giorno e questa enorme scissione tra mente e corpo sembra convincere i più, diventa difficile capire cos’è l’amore e trovarlo in quell’armonia in cui, appunto, si usa la testa per vivere col cuore, dove ci si adopera per fare quello sforzo che non è di ragione, né di pancia, ma di scelta. Siamo esseri pensanti e come tali possiamo pensare a ciò che il cuore prova, o ha paura di provare. Dove si celano le ragioni. Quale sia la verità che si scherma dietro scuse e timori. Pare dunque essere un momento propizio per farlo, per usare la testa, per vivere col cuore, per provare a trovare l’equilibrio e andare oltre le paure.
Calvin e Hobbes sono i personaggi di una striscia americana disegnata da Bill Watterson. Calvin è un bambino di sei anni. Hobbes è un tigrotto. Sono amici per la pelle. “Io mi prenderò cura di me per te e tu ti prenderai cura di te per me”, recita una delle loro tante strisce. E quando lì per lì, nel mio quotidiano scrolling sui social network, mi è apparsa davanti, mi pareva ci fosse un errore, o comunque qualcosa di strano. E mi ha colpito come suonasse inaspettata una frase che in realtà è così elementare, se non necessaria. Eppure, suona tuttora visionaria, un po’ come del resto sono visionari gli Acquario. Dunque, sembrano lo spunto di riflessione e il momento perfetti per ricordarsi di prendersi cura di se stessi, se si vuol star bene con gli altri. E se spesso s’interpreta quest’azione come un susseguirsi di scelte che mirano ad un’agire positivo: “fare qualcosa per se stessi”, “dedicarsi un momento”, “ascoltare le proprie voglie”, quello che mano mano la vita insegna è che forse il modo migliore per apprezzarsi veramente è elencare con onestà i propri limiti e provare a superarli. Mettere davanti a sé le proprie paure ed entrarci a pieno, per darsi la possibilità di diventare ancora più forti. Elencare i propri errori e imparare qualcosa, invece che sentirsi in colpa. Permettersi di essere onesti con se stessi, per quanto difficile possa essere. Solo allora potremo realmente cominciare a prenderci vera cura di noi stessi.
“Voi occidentali avete sempre l’ora, ma mai il tempo”. Come sempre Gandhi parla parole sagge e mai fuori posto. E ciò che colpisce è che spesso il tempo che manca è quello di fare ciò che ci piace. E non so se anche voi Pesci ci avete mai pensato, ma io continuamente mi chiedo come è accaduto che l’uomo abbia scelto per sé una vita che non gli piaceva. Come è accaduto che abbia permesso che si creasse un sistema di oggetti e possessi e regole e leggi che in realtà non lo rendono felice. Mi domando anche perché continui a farlo, anche dopo che se ne è reso conto. Perché sembra davvero assurdo, se ci si pensa. C’è uno stralcio di una conferenza di Alan Watts in cui il filosofo domanda: “cosa fareste se i soldi non esistessero?”. E le risposte sono, ovviamente, tra le più mirabolanti. Eserciti di artisti, esploratori, inventori e visionari si stendono di fronte a lui. Cosa c’entra? Che continuo a chiedermi come è successo che tutti questi eserciti abbiano tutti sempre deciso di scambiare la loro felicità con un orologio. Inceppato per giunta.
1984, George Orwell. Faccio sempre molta fatica a riferirmi a questo romanzo: personalmente, è il libro che amo di più in assoluto. In generale, lo trovo così pieno di riflessioni spaventosamente vere e previsioni ancor più spaventosamente avverate, che fosse per me sarebbe obbligatorio leggerlo almeno 5 volte nella vita, in momenti diversi, per accompagnare la crescita di un individuo all’interno della società. Ogni volta, ne derivano conclusioni profondamente diverse e necessarie all’essere umano. “Morire odiandoli”, questa era la libertà secondo Winston. Quando lo lessi la prima volta, pensai che ero d’accordo. Che l’unico modo per essere liberi era morire odiando tutto quello che invece la società in cui viviamo oggi ci vuole far amare, facendoci il lavaggio della testa e dell’anima. Ma come si dice in La Heine, l’odio chiama odio. E allora ad oggi, rileggendo quell’affermazione, mi viene un dubbio che forse sia esattamente il contrario. Che libertà significhi morire sapendo ancora amare. Perché forse il povero Winston non l’aveva capito, così spacciato com’era insieme al resto del suo mondo, che la vera forza giace tutta là e che odiare non porta ad alcun tipo di libertà.
“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”, affermava Giovanni Falcone, morto ammazzato dalla mafia nel maggio del 1992. Il cambiamento è un’azione difficile per l’essere umano, soprattutto se Toro, nonostante giaccia alla sua vera e più onesta base. Eppure, nulla resta mai esattamente com’è e un cambiamento avverrà comunque, per quanto si tenti di scongiurarlo, e spesso a quel punto costa un prezzo molto più alto di quello che avrebbe comportato se ci si fosse rimboccati le maniche e ci si fosse messi a fare. Dunque la scelta è una, se cambiare passivamente, immettendosi in situazioni sempre peggiori, o se cambiare verso la direzione che più si desidera. Consapevoli che un cambiamento comunque avverrà.
Qualche settimana fa uscì su Internazionale un editoriale molto interessante sull’intelligenza delle piante e su come Stefano Mancuso, direttore del laboratorio di neurobiologia vegetale di Firenze, le indichi come un modello per la modernità. “Proprio perché non possono scappare, le piante sono molto più sensibili rispetto agli animali”. Come esseri umani, abbiamo il grandissimo limite di considerare vivo e sensibile solo ciò che è simile a noi, ciò che palesemente respira e si muove. Andare anche solo un millimetro più a fondo della superficie pare essere uno sforzo fuori dalla nostra portata. E anche quando ci fermiamo all’apparenza, comunque non risultiamo molto bravi a trattare ciò che ci circonda con la dignità che si merita. Oltre che a consigliarvi di leggere l’editoriale e tutto quello che di correlato c’è, mi viene in mente una vignetta dei Peanuts. Una foglia cade davanti a Charlie Brown e Lucy, con la sua solita e pomposa saccenza, gli spiega come questo accada ogni anno, poiché si tratta di un ciclo naturale. Poi sostiene che c’è una lezione da imparare, “sai quale?” E Charlie Brown, nella sua speciale semplicità, risponde: non essere foglia, sii albero.
“La musica ci insegna la cosa più importante: ascoltare”. L’abbiamo visto un po’ tutti il video di Ezio Bosso a Sanremo. È andato viral sui social in meno di qualche minuto, al punto tale che probabilmente ci siamo persi, in maniera abbastanza paradossale, quello che cercava di dire. Tutti presi a condividere, mettere like e sentire la prossima hit dell’anno, probabilmente sono in pochi quelli che si sono fermati un momento e hanno effettivamente ascoltato. L’ascolto è una cosa molto particolare. Richiede la più grande partecipazione con il minimo dell’azione. Richiedere essere presenti e al contempo annullarsi. Richiede dare peso alle parole, soprattutto a quelle non dette. Non c’è nulla di veloce nell’ascolto, nulla di frenetico o di contato. Non c’è un momento in cui ascoltare e uno no. E per ascoltare bisogna vincere sempre le paure più grandi. È un esercizio continuo e complesso, nel suo essere, in realtà, radicato nella vita tutta. Ad oggi più che mai si tratta di un esercizio difficile, in un contesto in cui si richiede di andare sempre da un’altra parte, di accorciare tempi e sveltire azioni, di distogliere lo sguardo, di vivere nel futuro. La soluzione parte da una scelta decisa, che richiede molta coerenza. Non so, magari davvero si può iniziare dalla musica.
“Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni”, afferma Rita Levi Montalcini. Ho sempre trovato molto affascinante come la scienza non sia mai riuscita a spiegare veramente il mistero delle emozioni. Particelle e sostanze entrano in atto, sicuramente, per scatenare reazioni specifiche che portano ad una determinata emozione, ma quel famoso sesto senso, quelle intuizioni che nessun altro può sentire, o il personale bene che si vuole a qualcuno, e soprattutto il perché, quello non si può spiegare come una mera reazione corporea. E forse il bello è anche qui. E trovo anche divertente come comunque, la scienza, non si sia mai data per vinta e non abbia mai messo nemmeno per un momento in conto che forse non si può spiegare tutto in laboratorio. Perché abbiamo passato i secoli a cercare di scoprire le cose più mirabolanti, ma raramente ci siamo soffermati con stupore sulla potenza di ciò che proviamo ogni giorno, in ogni momento. Raramente ci siamo soffermati sullo stupore che tutto ciò che inventiamo è solo la proiezione di qualcosa che in natura già esiste.
In stanza ho ancora appesa una vignetta che Fabio Magnasciutti disegnò per il calendario di Emergency di diversi anni fa. Vi è rappresentata una colomba che in bocca stringe non un rametto di ulivo, bensì tutto l’ulivo, con tanto di tronco e radici, e sopra di lei una frasetta recita “Quando il gioco si fa duro…”. Mi ha sempre dato tanta forza e ispirazione. Non so se è un momento di giochi particolarmente duri per i Vergine, ma è sempre bene essere determinati nei propri obiettivi, non importa quanto sforzo possa volerci. Vi auguro di essere colombe in grado di sradicare ulivi interi, se necessario, per portare anche solo un briciolo di pace e serenità da qualche parte nel mondo, fosse anche il vostro stesso cuore.
Decidere. Parola d’ordine di questo Marzo, a quanto pare. Ma se spesso viene intesa come un’azione che tra tante, sceglie ciò che preferisce, in realtà è un’azione che funziona per esclusione. La parola viene dal latino “tagliare” (caedere) “via” (de-), dando l’idea che piano piano, togliendo ciò che non fa al caso nostro, o di chi per noi, si giunga alla risposta definitiva. Mi verrebbe quasi da dire che vivere significa decidere, ogni giorno, fin tanto che, a un certo punto, non si scopre qual è la nostra risposta. E a quel punto la si onora, o almeno si dovrebbe cercare di farlo. Con questo non penso sia giusto tagliar teste, braccia, pensieri – e chi più ne ha più ne metta – a destra e a manca in nome del bisogno di sapere cosa fa più al caso nostro, ma sicuramente dimostra come sia un’azione lenta, che richiede tempo e ragionamento. Decisioni svelte, drastiche, determinate, veloci, veloci, veloci: e non siamo più abituati a farlo veramente. Dunque sembra essere giunto il momento di de-cidere tutto ciò che non fa al caso nostro e fare un passo avanti verso la risposta. Prendetevi il vostro tempo, decidete con cura e con rispetto. Perché quello che poi si taglia, per quanto lo si voglia rincollare, non farà mai più veramente parte di ciò con cui prima era un unico.
“Molte volte nel dolore si trovano i piaceri più profondi, le verità più complesse, la felicità più vera”, sosteneva Frida Kahlo. E con questo nessuno si augura mai di soffrire, ma se interpretiamo la vita come un esercizio d’apprendimento, allora è probabile che anche le cose più dolorose possono insegnare qualcosa, probabilmente soprattutto quelle. Nella società del benessere non siamo più molto abituati a viverci la parte difficile della vita, facciamo fatica a sviluppare resilienza, ad affrontare problemi e dolori. Spesso li evitiamo, senza mai arrivare a nessuna crescita, ma solo ad un accumulo di esperienze, facce, parole e azioni, disperatamente ricercando qualcosa che non possa fare male, come la banalità. Stare nel dolore, che non significa rassegnazione, ma coraggio di evolvere nella maniera più umana e affrontare la verità.
Petaloso: e non credo ci sia molto altro da aggiungere. E non sono qui per dire quanto sia carina questa parola, il bimbo che l’ha inventata, o fare una critica all’informazione che usa questo lemma per spostare l’attenzione da cose ben più importanti. Il pensiero che vorrei condividere è che la fantasia può ancora avere molto spazio nella nostra vita e che non tutto ciò che non combacia con le regole e le modalità prestabilite sia necessariamente sbagliato, ridicolo o impossibile. Passiamo la nostra intera esistenza a sottostare a schemi e convenzioni altrui perché pensiamo che tanto, ormai, tutto quello che doveva essere pensato, inventato e fantasticato è già stato pensato, inventato e fantasticato. E solo la spontaneità di chi ancora sa immaginare riesce a prescindere questi schemi. Dunque mi auguro che sia un Marzo molto petaloso per tutti i sagittari: errate, che potrebbe voler dire sbagliare, ma anche vagabondare con la mente e dare una chance a tutte le idee che vi sovvengono.