Il Narodni Dom

Una mostra ripercorre la storia del Narodni Dom, vanto della comunità slovena triestina, dato alle fiamme dai fascisti italiani nel 1920

di Francesca Rolandi

Ancora oggi a distanza di poco più di un secolo dalla sua fondazione (nel 1904) e poco meno dalla sua distruzione (1920), il Narodni Dom di Trieste mantiene un significato simbolico sia per la città che per l’Italia tutta.

Il palazzo fu epicentro della vita economica e culturale slovena nella città adriatica in un arco di anni in cui venne alla luce una borghesia cittadina dotata di una coscienza politica nazionale ma non italiana nella Trieste città irredenta. Dove gli spettacoli teatrali si alternavano alle operette, le conferenze ai concerti, dove c’erano una banca, un ristorante, un caffé e uno degli hotel più moderni della città, il Balkan.

entrata

Un affronto che i fascisti non tollerarono oltre: diedero alle fiamme il complesso in una delle prime dimostrazioni di forza di quel fascismo di confine che avrebbe mostrato il suo volto più repressivo.

La mostra, ND110, riporta indietro la memoria storica in quella che è oggi la sede della Scuola per Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, riporta alla luce questa memoria, collegata da numerosi pannelli di fotografie dell’epoca, insieme a numerose testimonianze dell’epoca. Tra gli organizzatori diverse realtà della vita cittadina, tra cui il Club sloveno – come capofila, la Biblioteca nazionale slovena e l’associazione Cizerouno.

hotelbalkan

L’esposizione introduce il visitatore all’interno della Trieste asburgica, negli anni del suo massimo splendore, durante il quale sorge una Narodni dom (casa nazionale) per la comunità slovena del porto adriatico, sulla falsa riga di altre esistenti nell’Impero ma più bella e imponente.

Opera dell’architetto Max Fabiani, il palazzo ricoprirà una posizione simbolica per tutta la popolazione slava, data dalla centralità ma anche dalla vicinanza con il tram per Opicina che legava gli sloveni di città a quelli dell’altopiano.

Un’importanza strategica che il Narodni dom mantenne per i sedici anni della sua esistenza fino a venire distrutto la notte del 13 luglio quando una manifestazione fascista e nazionalista si tramutò in aggressioni diffuse contro gli esercizi gestiti da “slavi” che culminò nell’incendio appiccato alla loro istituzione più rappresentativa, impedendo l’azione dei pompieri, aspettando che si tramutasse in cenere.

 

 

Foto: cortesia Mario Tomarchio

Foto: cortesia Mario Tomarchio

 

Lo ha ricordato con lucidità lo scrittore triestino Boris Pahor, uno degli ultimi testimoni dell’epoca ancora vivi, che descrisse i cori di “Evviva” e “Alalà” degli incendiari che godevano della sua distruzione.

Nel secondo dopoguerra l’edificio fu ripetutamente reclamato dalla comunità slovena nel ricordo di un rogo sul quale calò l’oblio come in genere su tutte le violenze perpetrate durante il fascismo e la guerra.

Da una quindicina d’anni alcuni ambienti sono tornati ad essere sede di alcune associazioni slovene, sebbene non sia mai avvenuta la restituzione dell’intero edificio alla comunità slovena, per la quale lo stato italiano si era impegnato con la Legge di tutela entrata in vigore 15 anni fa.

La mostra riveste un significato importante in quanto aperta sia alla cittadinanza che agli utenti odierni dell’edificio, futuri interpreti e traduttori che della comunicazione tra culture faranno il loro lavoro.