Simone Sibilio
Cosa nascondi nel travaglio di una notte
che farfuglia stelle incolori
quando apro una porta ed esco fuori
portandoti in grembo come una madre
o sfiorandoti come un amante.
Apro una porta e siamo distanti
e il rammarico di giorni indolenti
le doglie di un aborto assicurato
le stagioni agonizzanti
come i fiori del tuo orto trascurati da tempo
cosa significhi
al sorriso di tuo figlio
che racimola i suoi shekel
nell’eroica conquista dell’infanzia vilipesa
il calcio di un fucile nel cuore del cranio
l’azzardo qui è vivere come morire
se la terra ha ceduto
come si cede alle passioni temporanee
alla promessa del divino
all’istinto militante
alle parole adulatrici
ai miti e ai simboli ben saldi alle radici.
Cosa tu significhi, per me
se in te riconosco la quintessenza del mio prossimo
il perfido fraintendere, l’inettitudine
il lento estinguersi in volti oscuri e plastici
il futile smarrirsi tra maglie inestricabili
e così (tra te e me)
accuso il peso dell’inconsistenza,
della dissoluzione,
vengo a chiedere il tuo nome
e il senso di uno straziante amore.
Cosa significhi nell’attesa non richiesta
di un tempo prossimo alla fine
che non lotta per guarire.
E m’affanno a ricercare l’essenza delle pene
per riavermi dal bene che mi ha sgretolato.
Tu sarai un giorno metamorfosi della storia
o radicale assorbimento nelle vene della terra?
Sarai estrema soluzione
vergine dannata o disumana obiezione?
Tu, nel travaglio di una notte che confisca stelle e cemento
resti un rituale, eseguito in controtempo
un monumento
recinto da un muro erto su una lapide di fuoco.
Tu, sei il più abusato dramma
sei tu, questa condanna a una vita senza te.