di Antonio Marafioti, da Bucarest
foto di Laura Cerzosimo
Superata la porta d’ingresso la scritta rossa su sfondo rosa accoglie con il calore di uno sconosciuto dalla faccia rassicurante. Parada. Lo si può leggere in spagnolo, “fermata”, o nella sua traduzione corretta, quella rumena, “parata”. Hanno senso entrambe a ben pensarci, perché qui, al 23 di Strada Bucur a Bucarest, si fermano i bambini e le loro famiglie che provano ad affrancarsi dalla strada, e perché qui cercano di farlo attraverso l’arte circense, quella della parata appunto.
Una quindicina di scalini prima di salutare gli ospiti. Giovani, giovanissimi eppure con uno sguardo che sembra aver vissuto così tanto. C’è una mamma che cambia il figlio di due mesi al massimo su un tavolo di legno. Lì per lì sembra un’operazione dubbia. Poi la storia di questo paese viene in aiuto alla prospettiva e il pensiero cambia punto di osservazione. C’è un neonato sul tavolo di un refettorio sì, ma qui c’è acqua, c’è caldo, soprattutto c’è un pannolino pulito che altrove non si troverebbe. Qui non c’è droga, non ci sono ratti, non ci sono malattie contagiose.
Il diritto non è così scontato, non è così immediato in una capitale nella quale tra cunicoli sotterranei e case abbandonate migliaia di famiglie ci vivono e addirittura ci nascono.
C’è una ragazza di 15 anni con il compagno fra le stanze del centro diurno. È incinta. Di giorno viene qui per pranzare e seguire i corsi, di notte ritorna nel sottosuolo. Da pochi giorni non hanno più un luogo dove dormire perché la rottura di un tubo di riscaldamento ha provocato l’inondazione del loro spazio di galleria rendendola invivibile. Forse non sapremo mai se si sia trattato di un caso avverso o fortunato; se l’accaduto permetterà alla giovane madre di portare a termine la gestazione in un luogo più sicuro per lei e il nascituro.
Sappiamo, però, che come lei ci sono migliaia di famiglie che vivono nel sottosuolo di Bucarest. Oltre 2000 ragazzi che Parada cerca, con ottimi risultati, di aiutare attraverso l’arte.
L’arte di Miloud Oukili, clown franco algerino, che nel 1992 arrivò nella capitale rumena per lavorare al servizio di Handicap International. Miloud frequentò gli ospedali, gli orfanotrofi, i centri di ricovero per disabili in età adulta. Poi la strada, invasa, letteralmente, da migliaia di bambini costretti a vivere sotto la linea dell’orizzonte.
Esseri umani non voluti, nati in massa dopo il decreto/dictat 770 emanato dal governo Ceausescu nel 1966 e abrogato alla fine del suo impero nel 1990. Il presidente, desideroso di una super Romania, decise di porre al bando i metodi contraccettivi, la pratica abortiva, l’istituto del divorzio e di penalizzare fiscalmente i rumeni che al compimento dei venticinque anni non avessero procreato. Dall’entrata in vigore del provvedimento si ebbero nuove, indesiderate, nascite e un aumento esponenziale dei nuovi malati di epatite C e Aids, una malattia, questa, che il governo di Bucarest non volle riconoscere e per la prevenzione della quale impedì ogni tipo di controllo sanitario.
Miloud ne conobbe molti di questi giovani nati tra il ’66 e il ’90, molti dei quali malati, senza prospettive e speranza di vita.
L’unico calore concesso non aveva nulla di umano. Era quello dei tubi di riscaldamento che attraversavano quelle tombe per vivi dentro le quali erano, e sono tutt’oggi, costretti a sopravvivere.
Miloud chiese che gli venissero insegnati i rudimenti della lingua nazionale in cambio di arte, quella circense. Per un anno visse con loro sotto i tombini Gara de Nord e nelle case diroccate, abbandonate dopo il crollo del Conducător e del suo folle disegno politico. L’arte doveva riportare alla vita, quando la vita era obbligatoriamente fatta di delinquenza e colla da sniffare da buste di plastica per non sentire i morsi della fame. Nel 1996 il giovane clown riuscì a fondare Parada con lo scopo di avvicinare i giovani ai valori dell’amicizia e del lavoro e trasformare la strada da luogo deviante in un’esperienza formativa.
Sono passati esattamente vent’anni da allora e Parada è diventata una vera e propria istituzione nel grande panorama delle organizzazioni umanitarie mondiali. Nel 2006, compleanno anche questo, è stata fondata Parada Italia. Nel 2008 Marco Pontecorvo ha girato il film Pa-Ra-Da, per celebrare il fenomeno del Terzo Settore che quotidianamente arriva a quelle persone che lo Stato neanche si preoccupa di considerare tali. Solamente a Bucarest la Fundatia aiuta ogni anno circa seicento giovani, in due modi differenti.
Per la maggior parte di loro, quella nascosta, c’è Caravana, l’unità mobile notturna che gira per le vie della capitale. Sotto le vie della capitale, per la precisione.
I tre membri dello staff, autista, operatore sociale e il coordinatore dell’assistente sociale, compiono un percorso rigoroso per tre volte alla settimana dalle 20 alle 24. Giù dal bus fin sotto i tombini per trovare e assistere 14 gruppi differenti di famiglie, tra cui diversi neonati, per un totale di circa 500 persone. «Lì elargiscono beni di prima necessità e offrono servizi di sostegno psicologico, oltre a fornire un aiuto burocratico per l’ottenimento e il rinnovo dei documenti. Si distribuiscono anche siringhe monouso per prevenire il diffondersi dell’Hiv. In Romania circa il 48% dei ragazzi di strada è sieropositivo», racconta Kietty Bassi, responsabile comunicazione della ong.
Se Caravana pensa alla patologia, il centro diurno è la riabilitazione. Il vero cuore di Parada sta nella piccola struttura di Strada Bucur, nella quale lavorano circa 18 persone tra professionisti medici, educatori e volontari.
«Qui si mangia, ci si lava, si viene anche solo per stare in compagnia. Ovviamente si svolgono diversi programmi di reinserimento – dice Bassi –. Abbiamo il programma artistico, quello scolastico, il consultorio e un programma sportivo di calcio». Al piano terra, nella sală de animatie, sono in corso le prove dello spettacolo itinerante che, come ogni anno, sarà diretto in Italia dal regista Flavio Cortellazzi a partire dalle prime settimane di aprile.
Tania ha lo sguardo concentrato sulle coreografie e una maglia nera con il volto di John Lennon stampato sopra. Continua per ore a provare i passi di danza e gli esercizi di giocoleria con i birilli in una stanza dentro la quale sono stesi ad asciugare i vestiti portati da fuori per essere lavati. Con lei ci sono Betty e un altro giovanissimo artista che non avrà più di dodici anni. La musica varia dal pop, alle danze popolari, dall’indie rock a delicati componimenti per chitarra e fisarmonica. Girano, saltano, si buttano a terra, lanciano in aria gli attrezzi colorati come se fossero prolungamenti del loro corpo. «Ho vissuto in orfanotrofio fino all’età di 18 anni – racconta Tania – poi ho conosciuto Milud e Marian (Milea uno dei responsabili artistici ndr) che mi hanno avvicinata a Parada nel 2002. Milud mi ha sempre incoraggiata ad andare avanti, a non mollare mai gli esercizi per imparare al meglio quest’arte. Da allora l’organizzazione è diventata come un’altra famiglia. Hanno avuto fiducia in me e in mia sorella e ci hanno aiutate a esprimerci grazie al circo». E ad inserirsi nel mondo del lavoro in modo sicuro. «Molte agenzie qui in Romania provano a far uscire le ragazze dal Paese per poi forzarle nel giro della prostituzione – dice Tania – c’è da tenere gli occhi aperti». Dopo essere entrata nella famiglia di Parada, Tania ha lavorato come cameriera in ben tre posti differenti prima di accettare l’incarico di formatrice a tempo pieno all’interno dell’organizzazione.
«È stato come chiudere un cerchio. Ho imparato l’arte, l’ho portata in tournée e, infine, l’ho insegnata ad altri giovani. Bisogna dedicarsi molto a loro. Io non ho mai vissuto in strada, ma so come è fatto chi ci vive. Vogliono apprendere velocemente e bisogna dargli tanta fiducia perché imparino, a loro volta, ad averne in te. La fiducia la si infonde con i laboratori e con le attività di gruppo».
Che non sia proprio la ricerca della fiducia negli altri e in sé stessi a muovere l’attività di Parada da vent’anni? Il circo, il palcoscenico, l’incontro fra coetanei e fra questi e il pubblico non sono altro, in fondo, che una metafora di speranza nel futuro. E se non c’è fiducia il futuro è invisibile.
Sono le parole della sorella gemella di Tania, Nicoleta, a suggerirlo prima di lasciare il centro diurno. Più estroversa della sorella, lei ha deciso di non dedicarsi full time alla Fundatia, ma di lavorare come cassiera in uno dei tanti mercati cittadini. Il circo, però, è parte della sua vita e della sua personalità. «Dà l’opportunità di crescere e di capire il senso di molte cose attraverso l’arte. – dice sorridendo – L’artista regala emozioni, riceve applausi. In questo scambio invisibile, ma caldo, si genera quel senso di umanità capace di tirarti fuori dalla strada, dalla solitudine».
Sosteneteci. Come? Cliccate qui!
.