D’amore e di tenebra

La prima narrazione collettiva di Q Code, mille voci, tanti linguaggi, un’unica città

di Susanna Allegra Azzaro

foto di Finbarr O’Reilly

“Gerusalemme è una vecchia ninfomane che spreme sino allo spasimo, prima di scrollarsi via di dosso con uno sbadiglio un amante dopo l’altro, è una mantide che sbrana chi la monta, mentre è ancora dentro di lei”.

Così Amos Oz descriveva la sua Gerusalemme in Una storia di amore e di tenebra riferendosi alle tante dominazioni passate e attuali che hanno fatto della città un crogiuolo di culture e religioni unico al mondo.
Gerusalemme.

Non esiste nessun altro luogo capace di farmi provare allo stesso tempo tanto odio e amore, è come un amante da cui dovrei stare alla larga ma a cui non riesco a rinunciare, so che mi ferirà eppure non riesco a dirgli addio.
Dovrei, vorrei togliermela dalla testa ma il suo richiamo è più forte del mio raziocinio, divento debole di fronte a quelle promesse di esperienze di vita che ogni volta mi fa e che certamente mantiene.

Sono sempre arrivata a Gerusalemme dopo il lungo viaggio che la separa da Amman, ogni volta partendo senza la certezza di potercela fare, vessata dalle lunghe attese, le domande incalzanti, la frustrazione e la tanta stanchezza.
Entrare nelle mura della città dopo aver superato mille ostacoli ripaga del disagio, ma non ti mette al riparo dalle emozioni contrastanti difficili da eludere.

Cercare di capire Gerusalemme è come cercare di comprendere il mondo con i suoi lati più oscuri.
Qui l’odio e la violenza sono tangibili come lo sono la spiritualità e il misticismo, impossibile non camminare per quei vicoli stretti senza chiedersi chi abbia calpestato prima di te quello stesso selciato, la storia ingombrante della città ti assorbe e ti trasporta a un presente per cui pensi non ci potrà mai essere soluzione.

Apro occhi e orecchie e cerco di captare le realtà che mi circondano, sono spesso gli arabi della città quelli con cui riesco a stabilire un contatto e non è solo per l’impegno con cui cerco di parlare la loro lingua; ho avuto più di una volta l’impressione che tramite me volessero far arrivare la voce al mondo che non sono cattive persone come alcuni sostengono.

Se c’è un sentimento predominante che la città mi suscita forse è la rassegnazione. Non sono pessimista di natura ma di fronte a individui che condividono lo stesso spazio ignorandosi a vicenda non penso si possa immaginare un futuro di tolleranza.

Eccome nonostante le lacrime e la rabbia, sempre li torno almeno con il pensiero se fisicamente non mi è possibile.
Sogno i suoi tramonti, il colore delle colline che la circondano, gli ulivi millenari che se potessero parlare potrebbero raccontarne di storie.

Ne amo il cibo e la sua varietà, la vita lenta che scorre tra un richiamo del muezzin e il tocco della campana di una chiesa. Adoro la diversità umana che ti passa accanto mentre passeggi nelle zone meno centrali della città, la sensazione di essere testimone di un mondo mitico nonostante tutto.

Non ho nessun aneddoto particolare da raccontare, nessuna storia speciale ed è forse proprio questo il bello di Gerusalemme, ti rimane nel cuore per le piccole impercettibili cose, quelle che non puoi spiegare o descrivere ma solo vivere nella loro semplicità.