Deyda lasciò il Gambia quando era ancora piccolo. Suo padre scappò dal paese e portò la famiglia con sé negli Stati Uniti perché era diventato impossibile per lui rimanere.
di Emanuela Barbiroglio
Nel 1994, prima che Deyda nascesse, Yahya Jammeh prese il potere in Gambia grazie a un colpo di stato militare guidato da un gruppo di giovani ufficiali, l’Armed Forces Provisional Ruling Council.
Jammeh sospese la costituzione, chiuse i confini e implementò in coprifuoco. Da quando venne eletto presidente per la prima volta nel 1996, Jammeh è diventato uno dei più feroci e bizzarri dittatori del mondo.
Preferisce che i suoi sudditi gli si rivolgano col suo nome esteso – Sua Eccellenza Sheikh Professor Alhaji Dr. Yahya Abdul-Azziz Jemus Junkung Jammeh – e sostiene di poter curare l’AIDS, ma imprigiona la gente per sospetta stregoneria. Non sopporta gli omosessuali e, secondo Amnesty International, chiunque osi criticarlo viene regolarmente rapito, torturato o ucciso.
Deyda dice che suo padre lasciò il Gambia perché era un perseguitato politico. Perciò, temendo il peggio per la sua famiglia, Deyda non vuole usare il suo vero nome.
Durante una vacanza nel suo paese, Deyda venne intercettato dalle forze del governo e costretto a fuggire. Senza documenti, non poteva tornare in America. Così, lasciandosi tutto alla spalle, viaggiò da solo attraverso il deserto libico fino ad arrivare in Sicilia in barca la scorsa estate. Aveva circa 16 anni.
Ma tutta questa storia è estremamente vaga, i pensieri di Deyda confusi. Nonostante sostenga di aver vissuto negli USA fin da piccolo, il suo inglese è imperfetto.
“Di sicuro è un minorenne e ha passato di tutto. Ma alcuni dettagli del suo racconto sono difficili da credere,” confessa Jacopo Colomba, laureato in Giurisprudenza con una tesi sul diritto d’asilo, che lavora part-time in un centro per rifugiati a Vallecrosia.
Il direttore di un altro centro per rifugiati adulti lo ha chiamato la scorsa settimana perché uno degli ospiti della struttura, un minore, stava facendo pressione per parlare con un avvocato: era Deyda.
Secondo la legge italiana, i minori non accompagnati non dovrebbero essere ospitati insieme agli adulti e si dovrebbe assegnare loro un tutore che si prenda cura della loro richiesta d’asilo, dei loro studi, del loro benessere. Deyda non ha ricevuto nulla di tutto questo.
Colomba è andato a incontrarlo. “Mi è sembrato molto fragile, con lo sguardo fisso nel vuoto. Ho provato a farlo ridere, ma non lo fa mai,” dice.
Parlare con Deyda è davvero un’esperienza alienante. Ogni volta che provi a chiedergli di ripetere cosa ha detto, si mette sulla difensiva e si ritira in se stesso. È difficile capire cosa ha veramente vissuto e cosa sta inventando. Nella sua mente, non sembra esserci distinzione tra la realtà e la fantasia.
Colomba non è uno psichiatra, ma ritiene che questa confusione sia il prodotto dei traumi che Deyda ha vissuto.
Circa 26,000 minori non accompagnati sono entrati in Europa lo scorso anno, secondo Save the children. Come Deyda, molti non hanno l’assistenza che spetta loro.
“Sto bene,” dichiara Deyda nel suo tono neutro e serissimo. Ma ha ripetutamente chiesto aiuto.
Durante la loro giovane vita, questi bambini e ragazzi hanno lasciato il loro paese spesso involontariamente, perso le loro famiglie, vissuto una guerra e subito violenza e stupri. Tutti questi traumi devono avere un impatto sulla loro salute mentale. La salute mentale dei rifugiati, però, non sembra essere una priorità per il sistema di accoglienza. Secondo Colomba, le autorità potrebbero fare di meglio.
All’arrivo in Italia, i rifugiati vengono visitati per controllare che non siano affetti dalla tubercolosi e altre malattie infettive. Dopo di che, ricevono una tessera sanitaria come quella dei cittadini e con cui possono presentarsi da un medico della mutua. L’assistenza psicologica non è automaticamente fornita, a meno che non siano evidenti certi sintomi come quelli da disturbo post-traumatico.
Nel caso di Deyda, gli assistenti sociali e gli avvocati stanno premendo perché ottenga un test per la sua salute mentale. Credono che questo possa andare a vantaggio della sua domanda d’asilo e dargli qualche chance in più di ottenere l’assistenza che gli spetta.
Gaia Quaranta, una psicologa che lavora in Sicilia con Medici Senza Frontiere, in un video pubblicato recentemente sostiene che “per fare in modo che uno psicologo possa lavorare affinché la sofferenza psichica possa ridursi, è importante anche che si lavori sul contesto di accoglienza.”
“Se non vengono messe in atto determinate condizioni di buona accoglienza, ciò che è accaduto prima nelle vite delle persone può venire fuori e peggiorare.”
Eppure ancora pochi centri offrono le cure per la salute mentale ai rifugiati che arrivano in Italia, Grecia e Balcani.
Elie Baker, psicoterapeuta per adolescenti e ragazzi a Londra, dice: “Immagina un albero che cresce. Quando è ancora giovane, può svilupparsi attorno alle rocce ed è flessibile abbastanza da resistere al vento e cambiare la sua forma. Non sarà la forma migliore per l’albero, ma in qualche modo ce la fa.”
I bambini trovano un senso nel mondo intorno a loro e sono molto più abili degli adulti ad adattarsi e a rendere quel mondo un posto sicuro per sé. Anche raccontare una storia inventata, densa di particolari inverosimili, può far parte di questo assurdo – e allo stesso tempo miracoloso – processo. Baker non ha incontrato Deyda, ma crede che la sensazione che pervade i suoi racconti sia la parte vera e scoprirla possa agevolare l’empatia. Ma sostiene che soltanto un trattamento appropriato e un intervento immediato possano aiutare i bambini a prendere la forma più salutare.
“Sono indispensabili consulenti, terapisti e psicologi. A volte anche medicinali,” dice Baker.
E, soprattutto, un posto sicuro dove i problemi non vengano ignorati.
Il disturbo post-traumatico da stress può portare alla perdita della memoria, ma in effetti non si dimentica niente. “Cercare di dimenticare può causare ancora più problemi. Reprimere un ricordo può significare che emergerà sotto forma di nevrosi,” dice Baker.
Fornire questo tipo di assistenza per la salute mentale è, del resto, nell’interesse anche dei governi europei. Altrimenti, c’è il rischio di perdere un’intera generazione.
L’osservatorio per le migrazioni dell’Università di Oxford ha pubblicato lo scorso anno un report sull’impatto fiscale dell’immigrazione nel Regno Unito: “Giovani migranti istruiti con lavori ben pagati possono costituire un contributo fiscale molto più positivo di quelli che hanno poche conoscenze e che hanno un basso grado di partecipazione al mercato del lavoro.” Semplice: adulti istruiti e in salute possono rendere i paesi d’arrivo più ricchi.
Quando gli si chiede del futuro, Deyda ha grandi aspettative. Eppure la sua preoccupazione resta l’educazione, perché non sa la lingua e sta perdendo tempo. “Se avrò aiuto e assistenza bene. Altrimenti, fa lo stesso.”
I minori non accompagnati che non frequentano la scuola e non hanno cure non possono contribuire all’economia nazionale, a malapena ne beneficiano.