Il treno verso il Nord America

L’odissea dei migranti che attraverso il Messico cercano di raggiungere gli Stati Uniti

di Camilla Camilli

Quando la Bestia arriva a Ixtepec si ferma. Solo una breve sosta per cambiare il suo carico, di persone e merci. Pochi minuti e riparte nuovamente verso sud, verso Arriaga, in Chiapas.

Chi scende lo fa per riposarsi un po’ o per mangiare qualcosa all’albergue Hermanos en el Camino; oppure per proseguire l’infernale viaggio sulla Bestia, questa volta però cambiando linea. In Messico, infatti, esistono tre linee ferroviarie percorse da treni merci utilizzati dai migranti per spostarsi nello sterminato territorio messicano. Tre linee che coprono circa 3000 km.

Proprio ieri ho passeggiato suo quei binari, incespicando tra i sassi nel tentativo di evitare i rovi, tra scarpe e vestiti abbandonati lungo la via. Passeggio con D., ormai fidato compagno che mi racconta la vita nell’albergue, quella che volontari e visitatori spesso non conoscono. Mi racconta di quello che succede la notte, quando quasi tutte le luci sono spente e i volontari dormono.

E quindi mi racconta di quando venti e più persone decidono di tentare la sorte e al fischio lontano della Bestia in arrivo rispondono con una corsa forsennata per cercare di salire, mentre altri rimango qui. In attesa.

Ormai non sono molti però quelli che utilizzano il treno. È sicuramente il mezzo di trasporto più economico, ma anche il più pericoloso. Lo è diventato soprattutto dopo l’introduzione del Plan Frontera Sur voluto dal governo messicano in accordo con quello statunitense per cercare di frenare il fenomeno migratorio da Sud verso Nord.

Un piano strategico che per quanto riguarda la Bestia prevede sulla carta maggiori protezioni per i migranti che utilizzano questo mezzo, ma che nel concreto si traduce in una maggior militarizzazione della frontiera e della rotta. Maggiori controlli, quindi, e maggiori violenze, come ben si sa.

Un piano che prevede la presenza della polizia sulle stesso treno e la costruzione di barriere in grado di ostacolare i tentativi dei migranti di salire. Come accade alle porte d’Europa, anche qui muri e filo spinato sono le risposte degli stati date a chi cerca un futuro o solo la speranza di poterne vivere uno. Ma che si dimostrano inutili e disumane di fronte alla forza e alla disperazione di migliaia vite umane.

È giovane D., ha ventitré anni, ma ha già vissuto tanto. E visto tanto. Anche qui a Ixtepec, mi confessa. Come già vi ho raccontato è necessario rimanere sempre attenti a ciò che succede e a chi passa nell’albergue, per la sicurezza dei volontari e per quella dei migranti. E agire se questi si sentono minacciati.

Come è capitato a Jose e alla sua compagna, in fuga dal Salvador e dalle minacce delle maras, e che in confidenza mi rivela che proprio qui ha visto uno degli uomini che lo hanno minacciato nel suo paese. Non poteva andare a prendere il figlio a scuola Jose, perché questa si trovava in una colonia diverse dalla sua, controllata da altri gruppi criminali. Purtroppo una storia che ho ascoltato molto spesso.

D. mi conferma tutto questo. Molto spesso i pandilleros si nascondono tra i migranti, mangiano e dormono con loro. Vivono la loro vita, ma sono qui per altro. Ascoltano, osservano e quando è il momento agiscono.

Si mescolano con i migranti che vogliono seguire il cammino e lungo la strada li aggrediscono rubando loro tutto ciò che hanno: soldi, cellulare, scarpe, vestiti. Qualsiasi cosa. E se sei donna ti può accadere anche di peggio.

Infine, ti posso vendere a qualche trafficante della zona alimentando cosi un mercato dei corpi che sembra non avere crisi. Sa chi sono queste persone, e come lui molti altri, ma giustamente ha paura a parlare. Non vuole mettere in pericolo nessuno.
‘Questo cammino è pericoloso’, me lo ripete in continuazione.

La stessa cosa è successa anche a tre giovani ragazzi dell’Honduras. Avevano da poco lasciato la casa per migranti di Arriaga (Chiapas), dove si erano riposati per qualche giorno, quando sono stati aggrediti e derubati da tre uomini, gli stessi che avevano visto nell’albergue. Non hanno sporto denuncia ma una volta qui, con l’appoggio di alcuni volontari, lo vogliono fare.

Lo fanno soprattutto per i compagni che condividono il loro cammino e le sue insidie. Queste denunce di certo non fermeranno le ingiustizie che i migranti sono costretti a subire in Messico. La maggior parte, infatti, sa che è tutto inutile, che può rivelarsi una perdita di tempo e nulla più. Ma c’è chi decide di rallentare un po’ il proprio passo e unirsi ad altri nella ricerca di giustizia e verità.

E quando al tramonto termino di percorrere un piccolo pezzo di quel cammino, vedo scendere dal treno una famiglia con un piccolo in braccio. Rapidi si dirigono verso la periferia, verso Hermanos en el Camino. Forse ci sono già stati, forse è il loro primo viaggio. Sicuramente le nostre strade si incroceranno, qui o più a nord, perché niente riuscirà a fermare il loro sogno.