Macao in viaggio a Calais e Dunkerque – giorno 2
di Accio, per MACAO
#openborders #safepassage
È bello stare in mezzo a tante persone nuove unite sotto il tetto di un obbiettivo comune, ma è anche bello incontrare vecchi amici, insieme per portare solidarietà internazionale in un campo emergenziale nel cuore dell’Europa. La sorpresa del mattino, oltre ad un cielo finalmente limpido, è l’arrivo di un furgone targato Italia carico di aiuti. Sono gli amici di Hope Speranza for Children arrivati in nottata che vengono accolti dal solito entusiasmo dei magazzinieri oltre che dal caffè appena uscito dalla nostra moka.
L’ultima volta ci eravamo visti a dicembre, a Macao, per un incontro sulle politiche europee sul tema dell’immigrazione. “Ci vediamo presto!”.
Già, si finisce sempre per salutarsi così pur sapendo che in fondo potrebbero passare mesi o anni, ma per una fortunata coincidenza, sono state le prime persone che abbiamo incontrato questa mattina.
Ci mettiamo d’accordo per incontrarci più tardi alla Jungle, luogo dove di lì a poco ci saremmo diretti. Ottenuto il pass di autorizzazione per entrare con la macchina, guidiamo quei 10-15 minuti che separano la Warehouse dal campo ignorando completamente quello che ci saremmo trovati davanti a breve.
L’arrivo non è per niente simile a quello del campo di Dunkerque: già a qualche centinaio di metri dall’ingresso Sud del campo, decine di mezzi della polizia presidiano l’area e rendendo l’atmosfera piuttosto tesa.
Ovviamente veniamo fermati, nessun veicolo può entrare senza l’autorizzazione della polizia. Controllano il nostro pass e ci lasciano passare un po’ stizziti. Seguiamo la strada sterrata e fangosa che porta a quello che un tempo era l’area sud del campo evitando i cumuli di materiale abbandonato, i resti delle baracche demolite e detriti per raggiungere l’Infopoint, una delle poche strutture rimaste ancora in piedi nell’arco di circa 100 metri intorno a noi. La vista è una di quelle che difficilmente si possono dimenticare. Sembra quasi di vedere gli effetti di una frana, con oggetti, vestiti, tende e materiali vari inghiottiti dal fango e dall’acqua.
Fa male camminarci sopra, calpestare pezzi di vita di qualcuno che un tempo animava le strade di questa città nella città e che è stato cacciato con violenza.
Veniamo accolti nell’Infopoint da una volontaria, visibilmente provata, ci fa accomodare e ci spiega come vanno le cose e chi possiamo incontrare. All’interno due uomini intorno alla stufa, con delle mascherine da chirurgo sulla faccia, in silenzio. Forse il cartello “HUNGER STRIKE” appeso alla porta si riferisce proprio a loro ma non ci sentiamo di chiedere nulla a riguardo.
Ci viene suggerito di recarci ad un altro Infopoint, nel lato nord del campo, gestito da un gruppo di attivisti spagnoli, per avere maggiori informazioni sulle attività in corso e sulle loro necessità. Il lato nord, al momento, non è ancora oggetto di demolizione e molte delle persone sgomberate si sono spostate là.
Arrivarci non è semplice perché un cordone di polizia in assetto antisommossa impedisce a chiunque di avvicinarsi alla via che porta al lato nord: alle loro spalle infatti, stanno proseguendo le demolizioni e la strada è chiusa.
Dobbiamo quindi uscire dal campo e girarci intorno dall’esterno e a mano a mano che ci avviciniamo la landa desolata si trasforma nuovamente in piccola città in fermento. Qua dove lo sgombero non è ancora avvenuto ci si comporta come nulla fosse. Fuori e dentro dalle baracche in legno c’è un gran via vai di persone che trasportano materiali, che si accalcano in piccole file davanti ai negozietti improvvisati o che semplicemente prendono un chai chiacchierando fra loro.
In questa parte di esplorazione siamo con Francesca, attivista di No Borders che si trova a Calais da 5 mesi. Ci racconta di quanto sia complicata la situazione all’interno della Jungle, di come si è arrivati persino a scontrarsi all’interno del movimento e della violenza della polizia. Ci racconta anche di dieci migranti in sciopero della fame da alcuni giorni che si sono cuciti le labbra a vicenda per dare più forza alla protesta (ecco il perché delle mascherine).
Lì vicino una calca di persone discute animatamente con degli uomini inglesi in divisa: sono ufficiali di frontiera, venuti dall’altra parte della manica per convincere i profughi a chiedere asilo in Francia senza tentare di attraversare il tunnel della Manica.**
Un insegnante di inglese siriano, che ci ha accompagnato per un po’, ci raccontava di come molti di loro siano effettivamente riusciti a raggiungere il Regno Unito, ma siano stati riportati indietro in Francia senza uno straccio di documentazione che attesti il fatto che abbiano raggiunto il suolo inglese.
Mi chiedo come sia possibile che le autorità possano agire indisturbate e nell’illegalità più totale disumanizzando le persone al punto di portarle avanti e indietro come dei pacchi postali spediti all’indirizzo sbagliato. Mi chiedo dove siano gli osservatori internazionali tanto attivi in alcune parti del mondo e perché chiudono più di un occhio quando si tratta di Europa.
Sulla via del ritorno passiamo nuovamente nella zona demolita e tutto intorno persone vagano alla ricerca di materiale da recuperare dal fango per portarlo nell’altra parte di campo. Si vedono gruppi spingere carrelli di legname, portare materassi o addirittura trascinare le pesanti baracche rimaste ancora in piedi per riutilizzarle dall’altra parte del campo.
Vicino a noi, due colonne di fumo nero e fitto si alzano verso il cielo. Prima che la polizia in antisommossa chiuda l’area, si intravedono delle insegne scritte a mano avvolte dalle fiamme. Quelli che furono due negozietti stanno ora crollando sotto al fuoco. Quella che è stata la vita di qualcuno è ora l’ennesimo cumulo di detriti in una distesa di fango.
** Francia e Regno Unito nel 2003 hanno siglato un accordo bilaterale (il cd. “Le Touquet Agreement”) che prevede per la polizia di frontiera inglese la possibilità di pattugliare nei territori francesi di frontiera (come Calais) con lo scopo di bloccare i migranti verso l’UK. L’accordo, in vigore dal 2005, ha ridotto del 90% gli arrivi di migranti in UK negli ultimi dieci anni. Questo accordo potrebbe essere annullato da parte della Francia nel caso di un Brexit, rendendo così impossibile per agenti UK pattugliare il confine francese.