di Valeria Nicoletti, da Parigi
È passata quasi una settimana e il sole non tramonta sulla Notte in piedi di Parigi. Sciopero generale, sogno collettivo, occupazione libertaria e anarchica della piazza simbolo della città, un desiderio di rivolta che si è propagato in pochissimi giorni in tutta la Francia.
Parigi, Piazza della Repubblica, 35 marzo. La Nuit Debout, notte in piedi, continua, nello stupore generale dei media nazionali, dei politici scettici, dei curiosi che vi si ritrovano per caso.
Da circa una settimana ormai, ai piedi della statua della Marianna, particelle impazzite, elettroni liberi, atomi anarchici, celebrano la gioia della sovversione e tentano di ricreare una democrazia condivisa, nell’intenzione di fare di ogni movimento una sola lotta.
Si respira un’atmosfera effervescente, spensierata, familiare, in grado di eliminare anche la sgradevole incursione di un manipolo di militanti di estrema destra e la repressione della polizia che, scontrandosi con un muro di pacifismo, ha optato per maniere più docili e si vocifera che qualche poliziotto abbia anche accettato un caffè dai manifestanti.
L’idea dell’occupazione della piazza era in cantiere già da febbraio, con il coordinamento delle sezioni, la costruzione del sito internet e soprattutto il crowdfunding che ha permesso di racimolare 3000 euro per il lancio dell’iniziativa.
Tutto però comincia ufficialmente la sera di giovedì 31 marzo, con una manifestazione a Place de la République e la proiezione della controversa pellicola “Merci, patron!”, di François Ruffin, caporedattore del giornale di sinistra Fakir, che mette in ridicolo il capo di LVMH, holding multinazionale specializzata in beni di lusso, tra i più importanti gruppi finanziari francesi, e racconta la lotta di classe degli operai di Ecce, filiale del gruppo, la cui produzione è stata delocalizzata in Polonia.
Da allora in poi, il desiderio di non sottomettersi più. Nemmeno al calendario. Marzo non è mai finito, infatti, in piazza della Repubblica e si continua a contare i giorni senza badare alle convenzioni, né al lavorio quotidiano dell’esistenza.
“On ne rentre pas chez nous”, ovvero non torniamo a casa, questo lo slogan dei manifestanti, come se l’indignazione fosse tale da non consentire di rientrare e ricominciare a occuparsi delle faccende di tutti i giorni. Un appello ascoltato da qualche centinaio di persona per la prima notte, ma sempre più numeroso ed euforico nelle sere a venire.
Quello che si fa largo tra la folla è un desiderio di rivolta, di reazione, l’esigenza di dirsi contrari a quello che succede. Il rifiuto dell’alternativa coatta che si profila davanti: salario minimo e precariato a vita per i meno pretenziosi, una sorta di capitalismo low cost per i più audaci o per i soliti immanicati, entrambi da supplicare in ginocchio. Un livellamento generale delle ambizioni, al quale fare fronte, per richiamare uno slogan sessantottino riapparso di recente sui muri, “disperdendo le ceneri del vecchio mondo”.
Si chiama Convergence des luttes, il collettivo che ha dato inizio alla protesta, con l’intenzione di approfittare del malcontento generato dalla recente proposta di riforma sulla legge del lavoro del ministro El Khomri, per affiancargli il malessere degli intermittenti dello spettacolo, dei disoccupati, dei migranti e, in ultimo, la protesta contro la deriva securitaria di un governo ormai solo apparentemente di sinistra, la cui recente disfatta sulla revoca della nazionalità non ha fatto che inasprire i dubbi degli elettori.
L’obiettivo è quello di generare un risveglio cittadino, una mobilitazione collettiva, uno sciopero generale, ma soprattutto una forma totalizzante di manifestare dove, finito il corteo, si resta in piedi, si fa presenza, incoraggiati da Frédéric Lordon, economista e portavoce del movimento, con una foga proporzionale al numero dei riflettori. Il movimento è apartitico, senza alcuna affiliazione a movimenti politici o sindacati.
Da parte sua, la politica istituzionale si pronuncia rapidamente. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha annunciato la ferma intenzione di difendere Place de la République dal rischio che possa diventare un luogo di concentrazioni permanenti. Cambadélis, segretario del Partito Socialista, si dichiara lieto di questa primavera politica, ma dubita sulla durata e la concretezza dell’iniziativa.
La stessa El Khomri non sembra preoccupata ma s’affretta a dire che resta all’ascolto di tali proteste e ne prende atto. Da allora, la copertura mediatica, lo stream ininterrotto dei social network e, addirittura, la pubblicazione di un giornale, 20.000 Luttes, ha permesso un’evoluzione impressionante del movimento. La sera del 3 aprile scorso erano in 80.000 a seguire la diretta su Periscope dell’assemblea generale.
In pochissimi giorni, gli occupanti della piazza hanno organizzato un vero e proprio presidio. Si respira lo stesso disordine anarchico di Liberty Square, qualche anno fa, o di Puerta del Sol a Madrid: si recupera energia attraverso le biciclette, c’è un’assemblea quotidiana, con un ordine del giorno deciso democraticamente, musica, rumore, concerti improvvisati, una cantina per cenare a offerta libera e piccoli dormitori allestiti qua e là.
Per partecipare alle assemblee, un piccolo vocabolario dei segni: si agitano le mani per dirsi d’accordo, braccia incrociate per esprimere dissenso, mano alzata per domandare la parola o mani giunte sulla testa per richiamare all’ordine.
Intorno, anche un piccolo giro d’affari di food truck e camioncini di merguez. C’è chi pensa allo speaker’s corner di Hyde Park, chi azzarda un paragone con gli Indignados di Madrid, o ancora, con le mobilitazioni di Piazza Tahrir.
Proprio come a New York, a prevalere non sono alternative concrete, idee reali, progetti realizzabili, molti sono i curiosi o chi vuole solamente stare a sentire e vedere cosa succede. Qualcuno ci passa solo per incontrare gli amici e bere un paio di birre insieme.
“La Nuit Debout non è una manifestazione ma una operazione in corso d’opera, in divenire”, dichiarano i manifestanti, “dobbiamo perseverare fino ad arrivare a qualcosa di concreto, ma siamo in tanti e la democrazia richiede tempo”. Altri, a sentire i propositi un po’ naif, non nascondono un certo disagio: “sembra una rivoluzione un po’ borghese”, sussurra qualcuno, anzi bobo, e non sono i pochi a esprimere ad alta voce dubbi o diffidenze, ma il consenso è sempre più largo.
E il proposito di convergenza delle proteste accoglie anche altre istanze, quella degli ambientalisti, che lottano contro il faraonico progetto dell’aeroporto di Notre-Dame des Landes, o ancora quella dei migranti, che ieri hanno chiesto aiuto alla popolazione francese.
“Per adesso, essere sopravvissuti quattro giorni, aver attirato migliaia di persone in piazza è già una vittoria”, dichiarano gli occupanti. E come poter affermare il contrario, in tempi in cui un like su facebook o la firma di una petizione soddisfano la razione quotidiana di attivismo della maggior parte dei rivoluzionari da tastiera.
Anche i media nazionali cominciano ad accorgersi del movimento e a dedicargli qualche pagina in più, e la Nuit Debout francese ha conquistato in poche ore il sostegno degli indignati internazionali, dalla Spagna agli Stati Uniti.
Non c’è ancora un pensiero preciso, né una traiettoria ma, visti dall’altra parte delle Alpi, dove in piedi ci sono solo le sentinelle e un manipolo di politicanti affossati nelle poltrone tra petrolio e banche, questo sogno collettivo risveglia una scarica di buon umore. E anche un po’ d’invidia.