Negli ultimi mesi in Croazia sempre più voci allarmate si sono alzate rispetto ai continui attacchi alla libertà di stampa
di Francesca Rolandi
“Ognuno a casa sua potrà dire quello che vuole, ma nello spazio pubblico dovrà dimostrare rispetto per i miti fondativi croati”. Questo lo scenario che Tomislav Karamarko, segretario del partito di centro-destra HDZ, aveva auspicato in una sua dichiarazione per il post-elezioni.
Sebbene le urne non gli abbiano regalato una vittoria piena, ma sia stato costretto a una strana alleanza con il partito – originariamente anti-casta – Most, a circa tre mesi dall’insediamento del governo non sembra affatto che l’idea iniziale sia tramontata.
Sicuramente Karamarko, oggi vicepremier, ha trovato una spalla di sostegno nel suo ministro della cultura, il discusso Zlatko Hasanbegović, che dall’inizio del suo mandato è stato al centro di una serie ininterrotta di polemiche sia per la sua militanza giovanile in un partito di estrema destra sia per le sue dichiarazioni contro l’antifascismo.
Mentre il nuovo governo, creato a partire dalla parola d’ordine dei “tecnici”, ancora brancola nel buio rispetto alle principali mosse, il ministro Hasanbegović si è fatto notare per un particolare attivismo.
Una delle prime mosse è stata quella di sciogliere la Commissione per i media no profit con la giustificazione che non distribuirebbe il denaro in maniera trasparente, ma tagliando in questo modo i fondi a molte delle testate che esprimono voci critiche nei confronti dell’operato del governo.
A gennaio una manifestazione di protesta era stata organizzato sotto la sede del Consiglio per i media elettronici, reo di avere comminato una condanna di sospensione di tre giorni delle trasmissioni alla televisione privata Z1 in seguito a un grave episodio di hate speech contro il patriarca serbo.
Il corteo, contorniato di canzoni ustaš,a, alla presenza del vicepresidente del parlamento Ivan Tepeš, aveva chiesto le dimissioni della presidente Mirjana Rakić, a cui rappresentanti delle frange più estreme avevano fatto recapitare un copricapo cetnico.
Rakić è stata sottoposta a pressioni più o meno velate, tra cui quella dello scioglimento del consiglio attraverso la mancata approvazione della Relazione relativa all’anno precedente, anche se sulla carta si tratterebbe di un organo indipendente. Dopo diverse settimane di pressing ha infine dato le dimissioni, dichiarando di non sopportare la tensione.
A seguire c’è stato il cambio al vertice della radio-televisione croata, sebbene questo non rappresenti quasi una norma in Croazia con l’avvento dei nuovi governi. Tuttavia in questo caso a colpire è stato il fatto che il direttore generale Goran Radman è stato dimissionato a favore di Siniša Kovačić, ufficialmente per irregolarità amministrative.
Quest’ultimo, a capo di una associazione i giornalisti formata qualche mese prima delle elezioni che è insorta a difesa di Hasanbegović, ha nei dieci giorni successivi licenziato 21 dipendenti, in quella che sembrerebbe una purga a sfondo politico.
Ad alzare un ulteriore polverone è stata la sospensione della trasmissione satirica “Montirani proces” [Processo montato], con la motivazione di diffusione dell’odio su base religiosa e nazionale. Un’accusa pretestuosa, secondo molti, volta a interrompere ogni forma di critica al governo.
Se ora si parla dell’agenzia di stampa nazionale Hina come del prossimo obiettivo, due associazioni internazionali, la francese Reporters sans frontières, i Canadian Journalists for Free Expression e la Federazione europea dei giornalisti hanno espresso la loro preoccupazione per quanto sta succedendo in Croazia.
All’interno c’è chi avanza paralleli forti, come il giornalista Milan Gavrović, che sul settimanale “Novosti” ha paragonato la rivoluzione anti-burocratica di Milošević a quella che starebbe mettendo di Karamarko: difendere la nazione dalla congiura di elementi anazionali, non croati, serbi o filo-jugoslavi. E dall’aggressività verbale a quella fisica alle volte il passo può essere breve.
Così a Spalato alcuni giorni fa due teppisti hanno aggredito lo scrittore e giornalista Ante Tomić, urlandogli “merda jugoslava”. Il ministero della Cultura, pur condannando gli attacchi contro ogni cittadino, ha sottolineato “l’importanza delle parole dette pubblicamente o scritte”. Un comunicato interpretato da molti come un modo velato per dire che l’aggredito se l’era andata a cercare.
“La dichiarazione del ministro della Cultura ha soddisfatto pienamente le mie aspettative” ha dichiarato Tomić. “Mi avrebbe deluso se avesse reagito come un normale essere umano”.