“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
Un autobus rosso che affronta mille ostacoli per arrivare dalla provincia serba a Belgrado, alla vigilia della seconda guerra mondiale. È lui il protagonista di “Ko to tamo peva?” [Chi canta laggiù?], una commedia corale girata nel 1980 dal regista serbo Slobodan Šijan, un nome che firmò altri film dal taglio inconfondibilmente tagliente e grottesco, come “Davitelj protiv davitelja” [Strangolatore contro strangolatore] e “Balkanski špiun”[La spia balcanica].
L’autobus porta un carico di un’umanità confusa: un anziano dalla profonda provincia che vuole raggiungere in caserma il figlio militare; un cantante di musica šlager diretto a un provino; una giovanissima coppia di sposi; un uomo ammalato di tubercolosi; un signore in giacca e cravatta che ama le tradizioni e l’ordine; un autista alcolizzato che fa i soldi con il mercato nero e decanta le doti del figlio autista; il figlio stupido; un uomo e un bambino, musicisti tzigani che cantano in diverse versioni sempre la stessa melodia che ruota intorno al verso “Sono un infelice”.
Dopo numerose peripezie, strade interrotte dall’esercito, ponti pericolanti, soste improvvisate, funerali, vendette familiari, uccisioni di maiali, rakija, l’automezzo entra nella capitale.
In quel momento l’anziano passeggero si accorge di non avere più il passaporto e, in un crescendo, l’uomo benpensante portavoce della disciplina accusa i due zingari di averlo rubato e aizza contro di loro gli altri passeggeri che iniziano a malmenarli. E’ in quel momento che l’autobus viene sventrato da una bomba.
A sopravvivere sono solo i due suonatori che, pesti e malconci, escono dalla cenere e intonano la stessa canzone che fa da soundtrack del film.
Molti hanno visto nel finale del film una preconizione della dissoluzione della Jugoslavia che sarebbe avvenuta dopo una decina di anni. Ma il messaggio che il regista vuole trasmettere risulta molto più chiaro riascoltando gli ultimi versi della medolia intonata. Qui si parla di “animali fascisti”, di tedeschi occupanti.
E soprattutto la scena che precede il bombardamento è una chiara metafora dell’insinuazione del fascismo nella società dell’epoca borghese e contadina dell’epoca che si lascia ammaliare da chi vende un nuovo ordine e attacca l’ultimo, chi meno si può difendere, lo zingaro.
Un messaggio che irrompe dopo un’ora e mezza di ironia un po’ surreale che mette a nudo i vizi della società dell’epoca, ognuno impersonato da un personaggio. Con un invito, ripetuto nella melodia ricorrente a che “tutto sia solo un sogno”.
“Ko to tamo peva”, oltre ad avere acquisito lo status di film di culto, è da molti considerato uno dei capolavori della cinematografia jugoslava.