18 Aprile. Premiere romana de “L’ Universale” a Roma. Il regista toscano Federico Micali, sottolinea entusiasta di sentirsi a casa in una “sala resistente” come l’ “Apollo Undici”, anche senza lustrini.
di Laura Di Pasquale
Buio in sala. E ci troviamo in un parco, in una primavera di fine anni ‘60. Lei è in piedi su una panchina, vispa e impettita. Avrà meno di dodici anni. Sdraiato al suolo, un suo coetaneo, soffia più forte che può affinché la gonna dell’ amica si sollevi e lei possa sentirsi la Marylin di “Una moglie in vacanza”. Un terzo amico li guarda con sufficienza finché i tre passano a un’altra bischerata.
La scena anticipa l’affetto con il quale questa commedia fresca e ben confezionata tratta il cinema e lo fonde con la realtà. Siamo a Firenze, a San Frediano, nei dintorni di una leggendaria sala di quartiere, nella quale tutti vorremmo essere stati almeno una volta nella vita. I tre amici impersonati da Francesco Turbanti, Matilda Lutz e Robin Mugnaini, condensano una generazione in una storia di formazione. Tommaso è il responsabile e pacifico figlio del proiezionista del cinema “Universale” e la voce narrante del film. La ragazza della panchina è l’irresistibile Alice, che si lancerà nelle sperimentazioni più ardite degli anni ‘70 e subirà i grigi anni ‘80. Marcello, distaccato idealista, prenderà parte alle contestazioni violente di quegli anni in Italia e all’ estero.
Seguiamo le loro vicende, senza affezionarci troppo, in verità, a nessuno dei tre. E’ difficile spostare competere con il cinema Universale, che è contesto ma di fatto solido protagonista del film. Nel 2008, Federico Micali aveva già raccontato quello spazio libero ed eccentrico, nel delizioso documentario, “Cinema universale d’Essai”. Aneddoti personali, acconti di performance collettive improvvisate, riferimenti a battute leggendarie restituivano il sapore e l’ evoluzione di quella sala, contestualizzando magistralmente i cambiamenti che aveva vissuto in vent’ anni la sala e anche la controcultura fiorentina.
La commedia scritta da Micali insieme a Cosimo Calamanini e Heidrun Schleef, Palma d’ Oro per la “La stanza del figlio”, aggiunge spessore emotivo e vitalità a quel racconto. Mostra rigore documentaristico nei dettagli scenografici per le vie di Firenze, nei costumi, nel racconto degli eventi in sala. Attinge all’analisi diacronica e culturale del lavoro precedente e stimola lo spettatore con i titoli cinematografici del tempo e le trasformazioni culturali del paese. All’Universale anche i film “da intellettuali” erano visti e “discussi” da un pubblico eterogeneo, finché nel 1989 quella sala non fu costretta ad abbassare le saracinesche, come è successo a svariate piccole sale altrove. Il film, non lascia troppo spazio alla nostalgia, velatamente presente. Prevalgono l’ironia sferzante, tutta toscana, che non risparmia neanche i divi di Hollywood e il gusto del film come esperienza collettiva. Una scena della commedia di Micali riporta alla proiezione di “Ultimo Tango a Parigi” all’ Universale. Mentre Marlon Brando stava imburrando la povera Maria Schneider, in sala si levò un urlo: “Abburracciugagnene!” Il salace neologismo, rimanda alla merenda, a base di pane burro e acciughe, citata alcune scene prima anche dalla sanguigna cassiera dell’ Universale. Quell’ “aneddoto” rende chiaro il senso delle “sale resistenti”, dove l’ esperienza condivisa del cinema, supera e integra l’ opera cinematografica, anche con sfumature bizzarre.
Altro punto di forza di questo film, tenacemente voluto da Micali, che l’ ha prodotto e distribuito con Ruggero Dipaola con “L’ occhio e la luna”, sono spalle come Claudio Bigagli , il proiezionista, padre di Tommaso, Paolo Hendel, nei panni del “programmista Ginori”, Vauro, padre di Marcello, e soprattutto, Anna Meacci, la mitica cassiera che non riesci a immaginare in un altro ruolo.
All’ “Apollo Undici”, dopo i titoli di coda, è partito un dibattito acceso e partecipato. Emulazione? Il riconoscimento degli spettatori come parte attiva dei film? Il legame di alcuni presenti con la sala fiorentina? Il pubblico di questa sala romana “resistente” non stava più zitto. Hanno ricordato la vespa, portata in sala all’ Universale a motore acceso durante la proiezione di “Easy Rider.” Anna Meacci, sferzante e vulcanica pure fuori dal set, ha sottolineato di non ricordare se lei fosse davvero all’ Universale quella sera: memoria, realtà e racconto si fondono e confondono per eventi leggendari e partecipati.