“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
Nato negli anni ’80 come supplemento del quotidiano “Slobodna Dalmacija”, il settimanale “Feral Tribune” vide la luce con il marchio che lo avrebbe caratterizzato fino alla sua fine: attaccare il potere e fargli perdere le staffe.
Così nel 1987 due redattori Viktor Ivančić e Velimir Marinković furono esonerati dal servizio militare perché a loro insaputa pendeva a loro carico un’accusa di attacco all’ordine costituzionale della Federazione jugoslava, un processo che finì nel nulla solo perché finì nel nulla anche il paese che lo intentava. Solo tre anni dopo il settimanale metteva alla berlina il fuggi fuggi dalla Lega dei comunisti croata al partito di centro-destra HDZ, nuovo bastione dell’anti-comunismo.
Con lo scoppio del conflitto alcuni dei suoi collaboratori in qualità di inviati di guerra riportarono a casa corrispondenze che non si potevano sentire altrove.
Già nel novembre 1991 “Feral” pubblicava notizia della scomparsa di 15 civili di nazionalità serba a Gospić, nel gennaio 1992 menzionava le intenzioni serbe e croate di spartirsi la Bosnia Erzegovina, in tempo reale nell’agosto 1995, durante l’Operazione Tempesta, mostravano al mondo i crimini sui civili serbi e gli abitanti di Spalato recarsi in treno a saccheggiare le case serbe di Knin.
La redazione di “Feral” fu acerrima nemica di ogni nazionalismo, a partire da quello che conoscevano meglio, l’HDZ di Tuđman.
Che li ripagò dello stesso disprezzo, definendoli “ideologi del regime comunista jugoslavo, figli degli ufficiali dell’Armata popolare, discendenti di matrimoni misti serbi”, le peggiori offese che uno sciovinista potesse immaginare.
Nel frattempo, mentre venivano ricoperti di riconoscimenti internazionali, gli attacchi dal fronte interno si intensificavano. Vittima di un primo tentativo di chiusura per via amministrativa nel 2002, rimandato da un’esplosione di solidarietà tra i cittadini che raccolsero la cifra necessaria a sbloccarne i conti correnti, il settimanale finì nel 2008 sotto le fauci dei creditori con il beneplacito delle autorità politiche che potevano in questo modo eliminare un nemico scomodo.
Il libro “Smjeh slobode” [Il sorriso delle libertà] del giornalista Boris Pavelić del fiumano Novi List racconta, attraverso undici capitoli per un totale di 680 pagine, le gesta del settimanale spalatino, che gode oggi di uno status di culto nella scena alternativa croata.
Alla presentazione del volume avvenuta all’interno del Teatro nazionale di Fiume, una delle istituzioni attualmente più attivamente di opposizione rispetto alla narrazione nazionalista che soffia con sempre maggiore forza negli ultimi mesi, le testimonianze sulla memoria del defunto “Feral” sono state molteplici e toccanti: dal pensionato che ricordava di aver risparmiato fino all’ultima kuna per leggere quello che i feralovci scrivevano, all’insegnante che affermava di avere trovato la forza di andare avanti solo grazie alle pagine del settimanale.
Non è da trascurare che proprio Spalato, se da una parte dagli anni ’90 ha subito una sempre più marcata virata a destra che ha invaso lo spazio pubblico, dall’altra ha visto al suo interno nascere alcune delle più rilevanti voci critiche contro il discorso nazionale e nazionalista, una tradizione nata proprio con “Feral”.
Anche se i tre fondatori Viktor Ivančić, Predrag Lucić e Boris Dežulović, chiamati i feralovci, durante la summenzionata presentazione fiumana, hanno affermato di sentirsi più in pericolo oggi a camminare per le vie del capoluogo dalmata, che negli anni ’90. Non ultima, l’aggressione al giornalista Ante Tomić da parte di due giovani, seguita dall’appellativo “merda jugoslava”.
Tuttavia, il “Feral Tribune” continua a giocare un ruolo di primo piano nel discorso pubblico. Oggi una gran parte della memoria – e della redazione – della testata che fu è confluita nel settimanale “Novosti”, originariamente organo della comunità serba che negli ultimi anni si è sempre più imposto come un punto di riferimento generale per l’opinione pubblica di sinistra. E i feralovci sono ormai assorti a numi tutelari del libero giornalismo in Croazia.