Il solista d’orchestra

Presentato in anteprima mondiale alla prima edizione del Festival dei Diritti Umani di Milano, il film della regista spagnola Arantxa Echevarría svela l’orecchio assoluto di un giovane musicista affetto da autismo

di Antonio Marafioti

Ci sarebbe da fare una vera standing ovation ad Antonio Belmonte, protagonista di El Solista de orquestra, uno dei ventidue documentari presentati in concorso alla prima edizione del Festival dei Diritti Umani, fino al prossimo 8 maggio alla Triennale di Milano. Ci sarebbe da prolungare l’applauso per Arantxa Echevarría la regista spagnola arrivata da Madrid per presentare in prima mondiale questo mini capolavoro di 25 minuti.

Una fotografia sociale onesta dai chiari tratti romantici sulla condizione dell’individuo affetto da autismo.

La prima scena: interno giorno, negozio di strumenti musicali. Chitarre acustiche, classiche, elettriche, strumenti a fiato, percussioni. Antonio accorda un ukulele. Poi imbraccia una sei corde e suona in fingerpicking Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd.
Le chiavi di lettura non potrebbero essere più immediate. Sono quella di Sol, quella di Fa, e ogni altra adatta ad aprire un pentagramma. Perché è la musica che colora un quadro clinico altrimenti grigio. È la melodia a dare respiro al racconto, sono le note a ristabilire nella loro sacralità il diritto perduto – quello all’espressione – del suo protagonista.

Antonio Belmonte di Albacete, Castiglia-La Mancia, presenta i primi segni del disturbo, “le ombre” verranno chiamate nel film, all’età di due anni.

I genitori collegano l’improvviso mutismo e il distacco emozionale del piccolo alla morte della nonna. Poi i sospetti e la diagnosi che lascia i due totalmente impreparati davanti alla triste realtà. Saranno le chitarre del padre a rompere il muro dell’isolamento. Antonio le prende, ci gioca e le accorda alla perfezione semplicemente sfruttando l’istinto e l’udito. È l’orecchio assoluto che la natura dona a un essere umano su diecimila e che porterà Antonio a ottenere un diploma al Conservatorio della sua Comunità.
Tra l’infanzia e l’adolescenza (oggi Antonio ha 17 anni) c’è il racconto privato di una famiglia alle prese con un disturbo sul quale anche a livello scientifico non è stato scoperto e scritto ancora tutto.

Lo script della regista guarda al presente indugiando di tanto in tanto sulle tappe che hanno permesso al protagonista della storia di diventare un musicista professionista. Le scoperte, gli studi rigorosi in conservatorio, le interviste con i suoi professori e la splendida esecuzione al pianoforte di Gymnopedie n. 1 di Erik Satie.

E poi, ancora, quella vacanza a Londra per conoscere e studiare con Adam Ockelford che della musica applicata ai disturbi del neurosviluppo ne ha fatto una vera e propria missione. Oltre a essere uno dei migliori musicisti del Regno Unito, Ockelford è anche l’insegnante privato di Derek Paravicini, golden boy londinese del pianoforte, anch’egli autistico e cieco fin da subito dopo la nascita. Il trio, due pianoforti e una chitarra, è emozionante sull’esecuzione di Garota de Ipanema della premiata ditta Moraes-Jobim.

È la musica che salva l’uomo, come solista prima che in ensemble, dal proprio destino.

Da una patologia che per natura tende a isolare chi ne è affetto – una persona su ottanta – dal resto del mondo. «Mi sono accorta che ognuno di loro è come un’isola – ha detto la regista al pubblico in sala -. Questo film è stata anche una scoperta personale sull’universo dell’autismo. Avevo mille pregiudizi a riguardo. Ero convinta del fatto che chi è affetto da questo disturbo non potesse essere avvicinato, toccato; che con loro non si potesse comunicare in alcun modo. La storia di Antonio ha fatto crollare ognuno di questi preconcetti. In Spagna, per diventare musicista, è necessario frequentare il conservatorio, ma per farlo c’è bisogno di parlare. Questo documentario ha fatto sì che le università della musica introducessero un sistema didattico per permettere a chi ha problemi di comunicazione di conseguire il proprio diploma».

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