La Turchia e la stampa nel mirino del potere

Intervista a Canan Coskun, giornalista turca, tra deriva autoritaria e libertà di stampa, mentre l’Ue non vuole scegliere

di Laura Filios

Sguardo fiero, chioma nera con qualche filo grigio, colpa dello stress a suo dire, un sorriso accogliente e la disponibilità di chi non ha nulla da nascondere né tantomeno da ostentare. Canan Coskun, giornalista giudiziaria del quotidiano Cumhuriyet, ha 29 anni e rischia di passarne 23 in carcere. I più severi penseranno per corruzione o furto, altri perché ha ucciso qualcuno. Niente di tutto ciò, 23 anni di carcere per aver scritto un articolo.

Chi, invece, non rischia più perché ha la certezza di essere stato condannato a 5 anni e 10 mesi è Can Dundar, direttore di Cumhuriyet, lo stesso giornale d’opposizione per cui scrive Canan. Giovedì 6 maggio il tribunale lo ha giudicato colpevole, insieme al caporedattore Erdem Gul (per lui la condanna è di 5 anni), di spionaggio, per aver pubblicato immagini relative al passaggio di armi al confine siriano tramite tir dell’intelligence turca. La procura aveva chiesto 25 anni per Dundar e 10 per Gul. I due erano già stati arrestati il 25 novembre e rilasciati il 26 febbraio su decisione della Corte Suprema. Sempre il 6 maggio Dundar è anche stato vittima di un attentato, proprio davanti al tribunale di Istanbul.

Fare il giornalista in Turchia oggi sta diventando sempre più difficile. L’attacco alla libertà di stampa, da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan, è ormai deliberato. A nulla sono valsi i richiami di un’Europa debole di fronte a uno stato che ha fatto dell’”accordo sui migranti” il proprio cavallo di Troia.

La storia di Canan è un esempio di questa situazione sempre più allarmante. Il 12 novembre 2015, Canan è stata ufficialmente accusata di oltraggio a pubblico ufficiale per un’inchiesta pubblicata il 19 febbraio dello stesso anno su alcuni giudici che avrebbero acquistato case di lusso a prezzi ridotti. Secondo la giornalista, la lotteria per selezionare gli acquirenti degli immobili di un progetto edilizio nel quartiere Basaksehir di Istanbul, sarebbe stata manipolata per permettere ai pubblici ufficiali, connessi al partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, l’AKP attualmente al governo, di accaparrarsi diverse case ad un valore inferiore rispetto a quello reale.

Se si considera che in Italia la pena detentiva massima è tecnicamente di 24 anni, ergastolo a parte, i 23 anni che pesano sulle spalle di Canan sono un’infinità, soprattutto rispetto al reato che le è stato imputato. Il giudice emanerà la sentenza il 26 maggio prossimo.

Ad aprile ha partecipato al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia per parlare di “Turchia: crisi dei media e crisi della democrazia”.

Al fianco di Canan c’era Kadri Gursel, giornalista dall’esperienza trentennale, licenziato dalla mattina alla sera dal quotidiano Milliyet dove lavorava dal 1999, per un tweet che criticava la politica di Erdogan in Siria. “In Turchia oggi non vengono uccisi i giornalisti, ma stanno uccidendo il giornalismo stesso per sostituirlo con una macchina di propaganda”.

Così Gursel riferendosi all’uso sconsiderato che Erdogan sta facendo della legge 299, che definisce reato l’offesa al Presidente in carica. Baris Altinas e Murat Coban hanno presentato P24, una piattaforma turca nata nel 2013 per sostenere il giornalismo indipendente.

Oltre a loro, Rachel Jolley, direttrice di Index on Censorship e Marina Petrillo di Reported.ly. Un applauso lungo il tempo di un incoraggiamento ha concluso un incontro carico di emozioni, denso di storie al limite tra il professionale e il personale.

E’ stata in questa occasione che Canan, occhi puntati nella telecamera, ha spiegato perché non ha nessuna intenzione di lasciarsi intimidire, nonostante la situazione critica in cui si trovano lei e tanti altri suoi colleghi.

Le risposte alle altre domande sono arrivate per via epistolare.
Quando ci siamo viste a Perugia mi hai detto che, nonostante la sentenza, non hai paura, che vai avanti a lavorare, perché il tuo dovere è quello di dire la verità. Ma come fai a raccontare i fatti sapendo che ciò che scrivi potrebbe essere usato contro di te? Come fai ad “aggirare la censura”?

Non ho paura dal momento che tutto ciò che scrivo è supportato da documenti concreti, cosa che continuo a ripetere con insistenza in tutte le sedi legali. Non subisco seri problemi di censura poiché Cumhuriyet è un giornale in cui la censura non è applicata.

Ci sono diversi tuoi colleghi che, negli ultimi mesi, sono stati licenziati da quotidiani o emittenti televisive, non ultimo Kadri Gursel, relatore insieme a te al panel di Perugia. Non temi anche tu di perdere il lavoro? Non per un fatto economico, ma per una questione professionale. Se ti dovessero licenziare non potrai più scrivere. A quel punto cosa faresti?

Questo è il problema comune di chiunque faccia giornalismo in Turchia. Un giorno potrei perdere il lavoro, ma non perché sono presa di mira dal governo dell’AKP, al contrario di quanto ha sperimentato Kadri Gursel. Se un giorno, invece, il governo dell’AKP dovesse confiscare Cumhuriyet, allora anche il quel caso potrei rimanere senza lavoro. Per raccontare la verità, però, non ho bisogno di un giornale. Se un giorno il quotidiano per cui lavoro verrà confiscato, continuerò a scrivere sui social media o su un blog, non smetterò di raccontare i fatti.

Secondo te Cumhuriyet è preso di mira oppure il problema è diffuso, riguarda cioè la stampa turca in generale? (Altri due tuoi colleghi, Can Dündar ed Erdem Gül, sono stati in carcere per 4 mesi dal 26 novembre al 26 febbraio e rischiano l’ergastolo perché accusati di spionaggio, divulgazione di segreti di Stato e di propaganda a favore di organizzazione terroristica per aver pubblicato immagini relative al passaggio di armi al confine siriano tramite tir dell’intelligence turca).

Tutti gli organi di stampa di opposizione sono sotto pressione governativa tanto quanto Cumhuriyet. Per l’AKP ogni voce di opposizione deve essere silenziata.

A che punto è il processo a tuo carico? Dopo la prima udienza, che si è tenuta il 12 novembre, a marzo ce n’è stata una seconda. A Perugia raccontavi che gli avvocati di Cumhuriyet sono ottimisti. Per quale motivo?

I nostri avvocati credono che non sarà pronunciata una sentenza negativa perché ho supportato le mie notizie con documenti concreti. In particolare c’è anche un comunicato stampa dei proprietari di casa che hanno goduto dello sconto che riporta che il Procuratore conferma la mia notizia.

Cosa hai pensato quando hai saputo di rischiare 23 anni e 4 mesi di carcere?

Quando ho saputo dell’avvio del procedimento giudiziario sono rimasta molto sorpresa, perché non pensavo che un Procuratore potesse preparare una linea d’accusa così scadente.

Non hai mai pensato di lasciare la Turchia? Dove lo vedi il tuo futuro?

No, non ho mai pensato di lasciare il paese solo per questi processi. Vedo ancora il mio futuro in Turchia. Non posso neanche ancora immaginare se andrò o meno in carcere.

Pensi che l’attenzione dei media internazionali possa aiutare voi giornalisti turchi a proteggervi da quelli che si possono definire veri e propri attacchi contro la stampa?

L’attenzione dei media internazionali purtroppo non può ostacolare la mentalità da censore del governo dell’AKP. Negli ultimi due o tre mesi i giornali Zaman, Bugün, Milliyet così come i canali Kanaltürk e Bugün TV sono stati sequestrati. Le proteste non sono servite a nulla. I nostri colleghi che lavoravano in quelle aziende sono stati licenziati.

Nell’ultimo rapporto sulla libertà di stampa di Reporter without borders la Turchia occupa la 151esima posizione su 180 (nel 2014 era 149esima), fanalino di coda dei paesi che gravitano nella sfera d’influenza europea.

Nell’ultimo anno, in particolare, Recep Tayyip Erdogan, eletto presidente nel 2014 dopo 10 anni da Primo Ministro, ha messo in atto una vera e propria campagna contro i giornalisti, molti dei quali sono stati accusati di “oltraggio al Presidente” e per questo licenziati.

Anche diversi quotidiani ed emittenti televisive sono stati posti sotto commissariamento, tra cui Zaman, il più letto nel paese.
La storia di Canan è, purtroppo, solo una delle tante. Una goccia in mezzo a un mare fatto di restrizioni e punizioni nei confronti di chi, nello svolgere il proprio mestiere, cerca di mettere in luce le contraddizioni di un governo dalla deriva sempre più autoritaria.