e la vita che continua
testo e foto di Michela Chimenti, da Kathmandu
Riprendo il diario, dopo giorni intensi, fatti di lunghe ore in jeep verso i villaggi e di camminate per le vie di Kathmandu con il naso su; giorni fatti anche di assenza di elettricità e acqua marrone dai rubinetti, di tosse forte e bronchi ballerini a causa dello smog che mette ko.
La commemorazione del 25 aprile, un anno dopo il terremoto, non è stato un momento di sommessa sacralità e nemmeno di triste e dolorosa commozione.
Nel pomeriggio a Basantapur Square inizia a crearsi un po’ di fermento: studenti in divisa messi a guardia di centinaia di candeline. Mi infilo dentro un palazzo, salgo fino all’ultimo piano dove c’è un ristorante con vista sulla piazza.
Ci sono già curiosi e giornalisti e i camerieri sono felici di portarci qualche birra in attesa che cali il sole. Con urla di gioia e risate, poco a poco si riaccende, formata da piccole lampade al burro, torre Dharahara, uno dei monumenti simbolo di Kathmandu, patrimonio dell’UNESCO insieme a numerosissimi altri templi andati distrutti un anno fa.
Scendo in piazza, guardo i volti delle persone accucciate vicino al fuoco, e non vedo pena, dolore, dramma. Il rapporto con la morte è diverso, lo sento mentre rispettosamente scatto foto e mi muovo in silenzio, anche se nell’obiettivo compaiono sorrisi, se tutt’attorno i ragazzi si abbracciano, i bambini si rincorrono, e qualcuno inizia a cantare…
Nessun triste inno, ovviamente.
È tutto diverso: negli sguardi c’è una serenità che non ho mai visto prima e che scopro qui, per la prima volta.
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