abbandona Fazi per Einaudi, ma non fa altrettanto con le aspettative dei suoi numerosi lettori. In Mi chiamo lucy Barton ce n’è per tutte le madri e per tutte le figlie,
per tutti quelli che sono stati almeno una volta nella vita messi di fronte ai cumuli di “non detto” e al bisogno disperato di andare avanti, comunque.
di Ilaria Poerio
È l’autrice a dircelo, a romanzo inoltrato, per voce di un’altra scrittrice: Sara Payne. Ognuno ha solo una storia da raccontare. Non ci si deve preoccupare di com’è questa storia, solo di raccontarla tutte le volte che si avrà modo di farlo.
Questa è la storia di Lucy Barton e di sua Madre. Che si ritrovano ma non troppo in una stanza di un ospedale dove i letti sono stretti per starci in due, eppure un passato irrisolto, con la messa impiega e l’accento del Midwest, non riesce a sporgere in avanti il volto per lasciarci sulla fronte il bacio di cui avremmo bisogno. Dalla finestra si vede la sagoma del Chrysler, luccicante e magica di notte, severa e ordinaria di giorno, proprio come Lucy sa può essere la vita.
Sotto le lenzuola illuminate dal Chrysler, Lucy ripercorre disordinatamente un’infanzia aspra come un limone, la sua vita nuova che, a tratti, appare un tentativo di fuga mai finito e il bisogno di trasformare tutta la rabbia accumulata in indulgenza.
Adesso Lucy sa, con certezza, che non si può mai conoscere veramente qualcuno ma che i dettagli possono essere rivelatori. Con il primo aereo della sua vita la madre di Lucy arriva fulminea e inaspettata, e così andrà via, dopo cinque giorni appena. Inchiodate in una stanza bianca e asettica le due donne hanno cinque giorni per percorrere la distanza che separa l’Illinois dallo stato di New York. Una distanza che è un percorso a ostacoli fatto di tutto quello che non si è detto e di tutto l’imbarazzo e l’incapacità e l’irrisolto che stanno ancora là a chiedere il conto. C’è anche la Strout in quella stanza d’ospedale, serafica come una madre che sa, e ci ricorda, che non è sempre facile dire a qualcuno che gli si vuole bene e forse non è neppure necessario che lo si faccia seguendo strade convenzionali.
Come un autore davanti a una pagina bianca dovremmo tutti imparare a lasciare da parte il giudizio, a scovare nuovi codici per amarci e a leggere tra le righe tutte le cose che gli altri ci dicono.
Questa è la sola storia che Elizabeth Strout sa raccontare, la storia universale di ogni madre e di ogni figlia. Della balbuzie comunicativa, delle carezze mancate, delle piccole cattiverie quotidiane, delle contraddizioni e della nostalgia e di tutto l’amore che s’infiltra nelle pareti della nostra casa e, nonostante le macchie di muffa, inaspettatamente, la mantiene in piedi. Questa è la storia che ci auguriamo con il cuore che Elizabeth Strout torni a raccontare ancora mille e uno volte.
Titolo: Mi chiamo Lucy Barton
Autore: Elizabeth Strout
Traduttore: Susanna Basso
Pagine: 158
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Einaudi
ISBN: 9978-8806229689
Prezzo di copertina: 17,50 €