Un documentario raccoglie i documenti della rivoluzione in Siria
di Redazione
Finalmente disponibile sulla piattaforma Netflix, arriva per il pubblico italiano (era già disponibile l’home video di Feltrinelli) il documentario Eau argentée – Syrian autoportrait.
Nella Siria dalla guerra civile ci sono filmmakers più o meno improvvisati che quotidianamente riprendono quanto accade e spesso muoiono dopo aver ripreso. Il regista, siriano ma attualmente residente a Parigi, sentiva il disagio del trovarsi a distanza e poter solo montare il materiale postato su Youtube. Finché un giorno una giovane curda di Homs inizia a chattare con lui chiedendogli: “Se tu fossi qui con la tua telecamera cosa riprenderesti?” .
Da questa domanda è nato un documentario che alterna vita e morte in un tragico inviluppo apparentemente privo di vie d’uscita. Alle immagini della nascita in casa di un bambino seguono quelle di un prigioniero che viene picchiato e umiliato costringendolo a baciare i piedi di chi lo tortura. Sono immagini di pessima qualità e proprio la loro bassa risoluzione le rende ancora più sconvolgenti.
E’ proprio la loro episodicità che offre la dimensione di una strage quotidiana in cui si è perso qualsiasi senso di umanità. Il genitore che va a chiedere la liberazione del proprio bambino arrestato e torturato per una scritta contro il regime si sente rispondere che farà bene a scordarselo e a metterne al mondo un altro; qualora non ci riuscisse che porti sua moglie ai soldati che saranno lieti di dargli una mano.
E’ questo solo uno degli innumerevoli esempi di perversa brutalità e di mancanza di rispetto anche nei confronti dell’avversario morto che il film, dichiaratamente dalla parte dei rivoltosi, ci propone. Proprio perché originato dalla domanda di cui sopra va anche oltre interrogandosi, nel corso dei capitoli in cui è suddiviso come un Mille e una notte dell’orrore, anche sul ruolo sociale e di impegno civile di chi fa cinema.
La scelta è quella di non nascondere nulla, di mostrare senza censure e in dettaglio gli abissi della crudeltà e della violenza. Lasciando però uno spazio alla speranza (che altrove apparirebbe come retorico mentre qui possiede una grande forza) quando vediamo lo sguardo di un bambino illuminarsi perché ha visto un fiore.
Premiato a Cannes nel 2014, Eau argentée – Syrian autoportrait, di Oussama Muhammed e di Wiam Simav Bedirxan è un documento fondamentale della guerra che in tanti hanno smesso di raccontare e che segna un possibile passaggio epocale: la guerra raccontata da chi la subisce.