Al corpo eterno delle madri

“Tornare alla luce” è un racconto e uno spettacolo teatrale ispirato al ritrovamento delle mummie di Roccapelago, sull’Appennino Modenese. L’incontro con quegli antichi corpi raccontato dall’autrice.

di Elena Bellei

“Capita a pochi, benedetti dalla sorte, di nascere due volte. E di avere per sè, nella seconda vita, attenzioni e cure sopraffine, impareggiabili rispetto alle antiche maniere, rispetto alle circostanze insidiose del primo venire al mondo…”. Così parla Aquina, risvegliata da un sonno di cinquecento anni. Si presenta ai viventi, e racconta la sua storia.
La narrazione oscilla tra realtà e finzione, alterna la voce della protagonista e le suggestioni dell’epoca, con quella della scienza e delle sue infinite possibilità di indagare il passato. Un ritrovamento di corpi e di oggetti, lo studio di antropologi, biologi, entomologi, esperti di tessuti ridisegnano per noi tre secoli di vita contadina.

Il ritrovamento risale al 2010, quando per la sistemazione del pavimento della chiesa della Conversione di San Paolo di Roccapelago, sull’Appennino Tosco Emiliano, si sollevò una botola, comparvero i corpi e gli archeologi della Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna si misero al lavoro.

Da qui è nato un racconto (Tornare alla luce, pubblicato dall’editore modenese Artestampa), e in seguito dal libro è nato uno spettacolo, una creazione collettiva di artisti diversi: chi scrive ha lavorato insieme ad Andrea Capucci, Mauro Terzi, Olivia Corsini, Francesco Rossetti, il coro gregoriano Climacus.

tornare alla luce

La lettura scenica ha preso forma attraverso una contaminazione di linguaggi, che provano a fare dialogare testo, disegno, video e fotografia, partendo da un soggetto comune declinato nelle diverse tecniche e nelle diverse sensibilità artistiche. Il lavoro preparatorio parte da lontano: le interviste agli archeologi, le ricerche all’Archivio dell’Inquisizione, la stesura del testo, le camminate in Appennino per coglierne i segreti, ore di girato, di bozzetti, di montaggio fino a trovare l’anima dell’epoca.
Un tema non facile da trattare, per il rischio di scivolare in atmosfere cupe e mortifere. Ma nello stesso lavoro archeologico, per il modo in cui è stato condotto, delicato, rispettoso di quei corpi e di quegli oggetti, e della storia stessa della comunità, si è dipanato un filo poetico.

I tessuti, i camicini dei bambini ritrovati in cripta, le lettere di preghiera, un piccolo dado, bracciali di semi, una cuffia rossa, da donna, hanno regalato spunti narrativi al testo e alle immagini.

Scienza e narrazione possono andare davvero d’accordo. Possono rendere un servizio alla conoscenza. Scienza e narrazione ci dicono che i corpi parlano, in vita e in questo caso anche in morte. I disegni dei corpi ci dicono, se li sappiamo guardare, le fatiche del venire al mondo, le fatiche dello stare al mondo. Ci dicono del desiderio di durare, anche dopo, quando non ci saremo più. Il duro desiderio di durare.

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Basta guardare i merletti a fuselli sistemati sui baveri degli abiti di sepoltura, i colletti plissettati negli abiti dei piccoli. Una cura minuziosa per essere accolti là dove andremo. Basta guardare le piccole mani rattrappite delle donne che sembrano ancora intente a cucire, a lavorare al telaio, o al tombolo, nella ricerca della perfezione. Basta guardare. E’ raccontando di sé che Aquina dice: “Se l’osservazione continuerà benevola su di me io sarò libera di raccontare il mio segreto”. Come dicesse: se mi osservi, se mi ascolti e mi conosci io mi fido di te. Utile insegnamento per i vivi.
Insomma una bella avventura questo guardare di qua e di là dal confine della vita. Una bella avventura anche lavorare con due artisti dell’immagine. Mauro Terzi è maestro nell’immagine del reale e cerca una definizione sempre più precisa, Andrea Capucci ha una poetica visionaria, evocativa di mondi fantastici. In questo caso ha lavorato sul disegno e sui luoghi originari del nostro Appennino. Insieme hanno creato un dialogo tra fotografia e disegno che si sposa bene con l’idea di memoria.
Al leggio due attori professionisti: Olivia Corsini, nella parte di Aquina, e Francesco Rossetti nel ruolo dell’archeologo. Da una parte il linguaggio emotivo, dall’altra quello distaccato della scienza.

[Lo spettacolo va in scena sabato 21 maggio alle 19 e alle 22 nel programma Nessun Dorma La nuit des Musées 2016 in collaborazione con i Musei Civici di Modena, nella sala Crespellani del Palazzo dei Musei in Largo sant’Agostino 337 a Modena.]

Raccontano proprio di quella comunità, non di altre, quella di Rocca Pelàgi (come si chiamava all’epoca) nel bel mezzo del XVI secolo, e in particolare raccontano di una giovane donna, innamorata, in fuga verso il crinale del Sasso Tignoso per raggiungere il suo amante, e scivolata nel fiume. Noi la conosciamo ora, ritornata alla luce, avvolta nel suo sudario bianco rammendato più e più volte, e con un figlio in grembo. (Il libro non a caso è dedicato al corpo eterno delle madri).

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In qualche modo è la strana vicenda di un bambino mai venuto al mondo…che nel mondo ritorna.
La familiarità quasi surreale che si è creata con questi uomini e con queste donne, che non ci viene mai di chiamare resti umani, ci fa immaginare anche il loro stupore per aver trovato noi affacciati alla botola e non qualche creatura celeste pronta ad aprire le porte del regno dei cieli. Per ironia della sorte terrena.

La storia di Aquina, donna vissuta 500 anni fa forse può essere davvero credibile, chissà; appoggiata sui fatti, sui luoghi e sui libri dei morti conservati in parrocchia, ma la costruzione narrativa è pura fantasia.

Il coro Climacus, per familiarità con quella sonorità antica e solenne dei canti gregoriani si ritrova in perfetta sintonia con la storia, e offre le note dei Requiem, dei Surge, dei Kyrie Eleison. Un coro anomalo, ogni brano è introdotto dal suono della tromba. Un azzardo per i puristi del canto gregoriano.
In scena l’atmosfera che si crea con i canti è quasi mistica (quella comunità, del XVI secolo, era molto religiosa), l’epoca era segnata da una presenza pesante dell’Inquisizione, dal senso del peccato, tra autentica spiritualità e superstizione, soprattutto per le donne. Ma il finale possiamo definirlo laico. E’ la scienza che vince la superstizione.