Dicono che sia storica come sentenza: la Difesa condannata a risarcire due milioni di euro per la morte di un giovane di 23 anni, Salvatore Vacca, caporalmaggiore morto nel 1999 per leucemia linfoblastica acuta.
di Angelo Miotto
A oggi sono 47 le sentenze vinte dai militari malati o dai familiari dei soldati uccisi dall’uranio impoverito, seguite dall’avvocato Tartaglia, lo stesso di Vacca.
Mentre in Sardegna il killer viene lasciato libero, perché rende nei rapporti e nei guadagni con le multinazionali delle armi.
La Corte di appello di Roma ha scritto che Salvatore Vacca non è stato adeguatamente protetto. Una condanna per una condotta omissiva dei vertici militari italiani. Era stata la madre a iniziare la battaglia legale, 14 anni fa. Stefania Divertito, giornalista che ha pubblicato inchieste sull’uranio, poche ore fa su Metro commentava così la sentenza: «Punto numero uno: Salvatore fu esposto agli effetti dell’uranio impoverito senza “alcuna adeguata informazione sulla pericolosità e sulle precauzioni da adottare”.
Punto numero due: “La pericolosità delle sostanze inalate prescinde dalla concentrazione”.
Punto numero tre: l’Amministrazione della Difesa si è macchiata di una “condotta omissiva di natura colposa”. Tre principi che rendono storica la sentenza emessa dalla Corte D’Appello di Roma e pubblicata oggi. Una sentenza che può mettere la parola fine all’annoso – e ormai davvero stucchevole – dibattito sull’uranio impoverito».
Più che la storia, tortuosa, di questa vicenda drammatica, anzi tragica nella sentenza dei giudici c’è una fiammella di speranza per il futuro. Da tanti, troppi anni il Ministero della Difesa si ostina a far muro sul riconoscere che la gestione dei proiettili all’uranio impoverito, che sono armi mucleari di bassa intensità usate soprattutto per forare spesse corazze e per far penetrare i proiettili, è stata sottovalutata, nascosta, non dichiarata con trasparenza e soprattutto utilizzata senza fornire ai militari le adeguate contromisure, ammesso che siano un valido deterrente.
Diversi anni fa raccolsi con Matteo Scanni e Leonardo Brogioni diverse testimonianze che presentammo poi in un documentario che titolammo L’Italia Chiamò. La storia di un militare in forze alla Croce Rossa italiana, Emerico Laccetti, quella di giovani soldati impiegati in Iraq o nel poligono di Salto di Quirra. O ancora i ricordi di un figlio orami morto, affidati a un padre. Nella ricognizione di un ormai lontano 2009 ricordo molti familiari indecisi nel raccontare, ancora stretti in una morsa di autocensura per la paura di quei silenzi delle divise con tante mostrine, con la testardaggine di voler continuare da soli una battaglia titanica, con il pudore a chiudere le labbra. Allora il lavoro video che fu fatto recepì la notizia che gli indumenti forniti ai militari e le precuazioni necessarie erano spesso difettose o scadute, oppure fornite in numero così esiguo da impedire il ricambio, obbligando i militari a indossare abiti contaminati. Che i militari, insomma, non sapevano a cosa andassero incontro.
In questi anni la conoscenza del fenomeno si è fatta più marcata, come raccontano anche le cause che hanno avuto un esito positivo per i militari o per i loro familiari. Eppure c’è in Italia, non in un deserto lontano, un poligono di tiro, di esercitazione, di sperimentazione, che è terreno lasciato liberamente in mano a sperimentazione ed esercitazioni militari. una vera e propria vergogna, per la popolazione che soffre e denuncia aumenti di mortalità sospette, per la terra stessa e l’ambiente e il territorio.
Mettiamo qui in fila qualche lettura, che viene da E il Mensile con Nicola Sessa che aveva seguito le vicende di un processo che riguarda proprio poligono incriminato, un documentario da vedere, assolutamente: Materia Oscura.
Non ci dimentichiamo che ci sono battaglie giuste da combattere per liberarci da questo killer lasciato libero di agire.
Buona lettura, si fa per dire.
https://www.qcodemag.it/2014/01/13/la-strage-delluranio/
https://www.qcodemag.it/2013/12/06/poligono-quirra/