di Valeria Nicoletti
Il fumettista spagnolo Paco Roca, classe 1969, originario di Valencia, alla vigilia dell’inizio dei lavori di regia per il film tratto dal suo album Memorie di un uomo in pigiama, è da poco tornato in Italia con La casa, graphic novel edita da Tunué e tradotta da Bruno Arpaia, una storia autobiografica in ricordo del padre.
“Per me, il successo consiste nell’avere la libertà di fare ciò che si vuole”, è quanto ha dichiarato Paco Roca in una recente intervista. Libertà anche di staccarsi dalle precedenti esperienze a fumetti e realizzare una storia intima, personale, un itinerario autobiografico, un omaggio al padre, scomparso di recente, un ultimo tratto di strada, mano nella mano.
La casa, pubblicato per i tipi di Tunué lo scorso aprile, ha già ricevuto il premio Zona Cómic come Miglior fumetto del 2015 ed è, come il precedente Rughe, un intenso viaggio nella memoria.
Una storia che rimette in discussione uno dei più delicati rapporti umani, quello tra genitori e figli, nonché un topos letterario tra i più classici, la morte del padre, assimilato, rivissuto e, forse, accettato, attraverso il disegno, il riscriversi della storia, la possibilità di raccontare la propria versione dei fatti, anche quando l’altro non c’è più.
Senso di colpa, giustificazioni concesse a se stessi, ricordi ricuciti insieme per riempire i vuoti di memoria. Un racconto forse tra i più personali di Roca, che aveva già abituato i lettori alle storie autobiografiche, come lo scanzonato Memorie di un uomo in pigiama, da cui sarà presto tratto un film.
Una storia vivida, a tinte pastello, uno sfondo caldo, come i colori della campagna spagnola, che sembra seguire i movimenti della memoria sin dalla disposizione delle sequenze, a sviluppo orizzontale, come un album di famiglia, ma cangiante e irregolare, come un ritornello di ricordi, che arrivano uno dopo l’altro, senza ordine temporale che tenga, delimitato solo dal tratteggio pulito, dalle figure chiare e dai contorni essenziali come a dare una cornice e un ritmo alla girandola di flashback messa in moto dal ritorno alla casa.
“È una storia che ha bisogno di serietà e realismo”, dichiara Roca, “senza trucchi o figure retoriche, il tratto ha la stessa sincerità del racconto”. La matita è spontanea, il tratto, anche quando impreciso, è in sintonia con la storia, con l’affacciarsi tenue del passato. “Un fumetto che ha dietro forse meno lavoro degli altri”, meno limature, ma più investimento personale, più emozioni.
Dopo la morte del padre, tre fratelli ritornano nella vecchia casa in campagna di famiglia, per rimetterla in sesto e venderla. Anche il passato, però, vuole la sua parte. Basta una riverniciata alle pareti per scivolare nei vecchi tempi, quando ci si faceva il bagno tutti insieme in un bidone per rinfrescarsi dalla calura, quando ci si divideva i compiti per costruire un muretto, quando, con uno sbuffo, un po’ annoiati, si doveva dare una mano a papà, allergico all’apatia della pensione, sempre impegnato a rastrellare le foglie, a seminare i meloni, a sognare un pergolato, per cenare al fresco con tutta la famiglia.
La casa diventa la vera protagonista, con l’odore di umido delle stanze chiuse, il tappeto di foglie secche, la miniera di ricordi nel garage, il calendario con le annotazioni dei genitori, vecchie foto attaccate qua e là.
La casa che sembra quasi farla apposta per sorprendere i tre fratelli e convincerli, forse, a rinunciare alla vendita e a ritornare a pochi passi dal mare, anche solo per pochi giorni l’anno. La casa che, come se volesse riparare i torti subiti, nel tempo di un fine settimana, rivela ai figli qualcosa di più della vera natura del padre, il dietro le quinte degli ultimi anni di vita di un uomo anziano, rimasto solo con il suo orto.
Paco Roca ricostruisce la figura del padre attraverso gli oggetti, giocando magistralmente con un naturalismo per immagini che lascia parlare il pergolato, i muretti, il tetto per riportare a galla una esistenza.
All’interno delle stanze, anche i silenzi hanno un’eco e riportano indietro la voce di chi non c’è più. La casa si rivela per quello che è: lo specchio di un uomo che l’aveva costruita a sua immagine, il desiderio di un padre che, cresciuto in una Spagna arida e difficile, negli anni Quaranta, quando per sfamarsi si doveva andare a rubare un paio di fichi, voleva qualcosa di più per i suoi figli, avere finalmente qualcosa di suo.
Una storia personale, dove tuttavia non è difficile ritrovarsi. “Ogni lettore vivrà a modo suo la permanenza in queste stanze”, scrive Fernando Marías in calce al fumetto. Spalancando le finestre, ognuno sentirà l’odore del passato della sua vecchia cameretta, si riconoscerà figlio quando è troppo tardi, tenterà, forse invano, di formulare una scusa qualsiasi per l’arroganza di un tempo. Una scusa che per qualcuno ha la forma di un pergolato, ultimo omaggio dei fratelli al padre. Per altri, le pagine di un fumetto.