Storie di viaggio in Kurdistan
di Linda Dorigo
“Avere la possibilità di scegliere è un privilegio. Potrà sembrare poco ma é già un segno che la vita ti sta offrendo”. Torno a Suleimania con questo mantra. Il cielo si schiarisce, le nuvole si aprono. Un mare immaginario si riflette in cielo. Cerco una logica per interpretare la rabbia e la rassegnazione di chi mi sta intorno. Da mesi il governo non paga gli stipendi ai dipendenti pubblici perché la guerra all’Isis ha stretto i rubinetti finanziari di Baghdad, ma le vendite del petrolio vanno a gonfie vele.
“Ho letto su Facebook – confida Agrin – che un uomo ha messo in vendita un rene e chiedeva di non chiamarlo per farne una burla”. Viene a prendermi alla stazione il fratello Hazhar. Ha 30 anni ed è l’unico della famiglia senza vie di fuga: Agrin ha il passaporto norvegese, mamma Nagada e papà Yousef hanno il permesso di residenza italiano.
“Il problema di questo Paese è che non abbiamo rispetto di noi stessi – sbotta Agrin – Come possiamo sperare che altri lo abbiano nei nostri confronti?”. Nagada è stesa sul divano a leggere le notizie sull’Ipad. “Quando sono rientrato da Mahabad nel 1978 – racconta Yousef – i servizi segreti hanno aperto un fascicolo perché sospettavano che appartenessi alla guerriglia curda. Mi hanno esiliato per un anno a Diwaniyah, nel sud dell’Iraq”.
Lui, che a 18 anni è diventato peshmerga ed è andato a vivere sulle montagne, oggi prova vergogna per i politici al governo.
“Sono cresciuto ascoltando i discorsi clandestini di mio padre, al tempo un uomo importante del movimento rivoluzionario e dei suoi compagni. In quelle occasioni ho sentito per la prima volta parlare di Kurdistan, ho imparato il valore della libertà, della resistenza, dell’autodeterminazione. Come posso assistere oggi a questo scempio?”.
Nelle sere d’inverno la tradizione vuole che si mangino i melograni raccolti in autunno e conservati nella parte più fredda della casa per l’inverno. Nagada si accuccia con una cesta di frutti e coltelli. “I frutti migliori – raccomanda – sono quelli di Sharaban, vicino Baghdad. Grossi e succosi.