A cura di Gabriella Ballarini e Juri Bomparola
Uranio killer, la Difesa condannata di Angelo Miotto
Non me l’aspettavo.
A distanza di quasi vent’anni non credevo che mi sarei trovato a scrivere di questo argomento tanto a me vicino e così pesante.
Pesante come il metallo noto come uranio impoverito.
1997-1998: biennio a cavallo del quale prestavo servizio militare in una delle tante caserme più o meno operative del corpo degli Alpini.
Un giorno, non ricordo quale, mi fu chiesto se avessi intenzione di metter firma per diventare VFB (Volontario di ferma breve).
Negai, con tutte le mie forze negai.
Un anno, giorno più, giorno meno, era più che sufficiente.
Alcuni amici miei firmarono e uno, tra loro, decise di prender parte alla spedizione “di pace” in Kosovo.
Tutto per racimolare quanto denaro serviva per un sogno.
Voleva aprire una pasticceria. La ottenne.
A distanza di pochi anni arrivarono i sintomi, la malattia, la paura.
Ora è vivo, ha ancora la sua pasticceria.
La migliore che io conosca, giuro.
Tanti sanno, ora, di chi e cosa parlo.
La paura rimane, la malattia è una spada di Damocle costante e impietosa.
Non è andata via.
Ringrazio me stesso per non aver impugnato quella penna e firmato la mia condanna, allora.
Ci sono andato vicino, credetemi.
Alcuni altri amici miei, due o tre, forse quattro, non ce l’hanno fatta.
Li conoscevo e li amavo. Scrivo mentre non trattengo le lacrime.
Per questo senso di amicizia e appartenenza scelgo il brano che ogni Alpino (volutamente con l’iniziale maiuscola) sente suo.
O meglio: sente quando un amico suo passa dall’altra parte.
Un tempo era sull’Isonzo, poi nella campagna di Russia con la benedizione di Don Gnocchi.
In tempi più moderni malediciamo l’uranio impoverito.
Maledetto mai abbastanza.
Nessun conflitto è mai detestato a sufficienza.
Siamo sempre il Nessuno che non sa niente.
Si renda ora giustizia a chi non sapeva.
Non sapevo nemmeno io, mi è andata bene.
Condannate la Difesa: non ci ha mai difeso.
Per questa scelta musicale perdonate il coinvolgimento personale, davvero inaspettato quanto sentito.
NOTE: il brano “Signore delle cime”, di Giuseppe “Bepi” De Marzi, non è un canto nato in ambito militare, ma è assunto come rappresentativo dagli Alpini in congedo in sede di commemorazione dei Caduti in guerra e in montagna, ben dopo la sua composizione.
Le cime fuori di noi sono alte. Quelle dentro di noi sono inarrivabili.
Il video che condivido è quello “live” di un coro impeccabile tecnicamente, che ha subito emotivamente le mie stesse perdite.
Per le stesse cause.
Borderlife di Gabriella Grasso
L’amore al confine.
Amori confinati.
Così ho pensato a Cristiano De Andrè, c’è un unico album che ho ascoltato di questo autore, si intitolava: Sul confine, che è anche la traccia numero 4 di questo CD che comprai nel 1995.
Il più bello degli amori che hai ancora da incontrare
L’ultimo libro devi raccontare
Combatti ancora un po’ per me, sul confine.
Desde Cuba editoriale di Angelo Miotto e Christian Elia
Cuba, tra le parole di Antonio e le fotografie sia di Antonio che di Cora, ti sfugge dalle mani e poi te la ritrovi lì tra amore per i colori, amore per la sabbia e la musica, per quel vento fresco che entra dalla finestra, amore per tutte le stelle, un amore.
Todo fue por ella
Un monton de etrellas
Recuerdo de una canciòn
Recuerdo de un viaje.
Il nuovo prodotto editoriale di Q Code, da leggere, da conservare!
I sikh, il pane e le rose. Della Pontina di Ilaria De Bonis
Ho scelto questo brano tra molti altri, nonostante le ovvie difficoltà linguistiche e culturali nel trovare un nesso. Non volevo, in questo caso, ricorrere a una comoda scappatoia nostrana.
Dopo alcune ricerche e consultazioni con conoscenti, sono giunto a questa scelta.
L’articolo di Ilaria De Bonis può essere dignitosamente rappresentato dalla colonna sonora dettataci da Diljit Dosanjh, artista non a caso sikh.
“Gobind de lal” fa riferimento al Decimo Guru, l’ultimo prima del Guru Granth Sahib, testo sacro considerato il Guru finale e permanente della disciplina Sikh.
Il sound moderno e il video-clip bollywoodiano invitano al risveglio di un orgoglio che nel tempo si è dimenticato.
Si incita alla ribellione verso le ingiustizie, a combattere per i propri diritti e a non darsi per vinti di fronte a chi cerca di approfittare dei precetti sykh per rendere questi indiani pacifici delle semplici marionette.
A Latina qualcuno deve aver sentito questo “inno”.
Gustiamo le sonorità e le atmosfere.
Per godere dei testi, ahinoi, è necessaria una ricerca molto più approfondita.
La battaglia di Khadija di Lorenzo Bagnoli
Riascoltavo questa canzone di Guccini del 1971.
Lorenzo Bagnoli, scava come suo solito con estrema competenza, ma ci lascia quella sensazione di gabbia, di prigione. E così cerchiamo di spezzare le sbarre della cella con le parole e la musica di Guccini, ci ricorda che la libertà la possiamo avere, se fossimo uccelli o fiumi, allora sarebbe più semplice “rompere gli argini delle proprie alluvioni”.
La tua libertà, cercala che si è smarrita. Cercala anche nella prigione, delle parole.
Ricordando Bruxelles di Tano Siracusa
I Têtes Raides sono un gruppo che mi fece scoprire Elisa, eravamo piccole, o forse solo giovani, anche un po’ malinconiche, un po’ come le memorie di Tano e di Daniele, un po’ come chi si guarda attorno e pensa alla pioggia, sulla memoria, come chi riflette sull’effimero e lo trasforma in un museo o anche solo in una canzone.
Pleurons sur la mémoire
De ceux qui sont partis
Du creux de notre vie
Tout en serrant les poings
Vers leur sombre destin
Que nul ne peut chanter
Que nul ne peut changer
La matita di Enrico Natoli
Questa canzone degli Après La Classe mi piace ascoltarla, soprattutto quando voglio pensare che sì, magari si può cambiare (oppure no).
Les histoires et sa magie
Les tetes coupèes
Pour avoir la libertè
Et come ce grand jour
rien ancore est changé
Paris, Paris.