“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
Sono gli anni ’80, in Romania si moltiplicano le code per i generi di prima necessità ma compaiono i primi videoregistratori e con essi le prime VHS, molte delle quali pirate. Si tratta di un genere di lusso, ma particolarmente ambito, tanto da foraggiare un lauto mercato clandestino.
Da questo assunto prende il via il documentario “Chuck vs Communism” (2015) della regista rumena Ilinca Calugareanu. Calugareanu, di base a Londra e antropologa di formazione, offre uno sguardo divertito e disincantato su come un popolo a digiuno di cultura di massa occidentale fu conquistato dai film di Sylvester Stallone, Claude Van Damme e altri rappresentanti non indimenticabili del cinema mainstream hollywoodiano.
Protagonista principale e guida all’interno del film è il personaggio di Irina Nortin, la voce che doppiò migliaia di film occidentali in un sottoscala di Bucarest, una delle più conosciute nel paese dopo quella di Ceausescu.
Irina era una donna dalla doppia vita: di giorno traduceva film per la Commissione ideologica, molti dei quali non ne passavano le forche caudine; di notte, o meglio dopo il lavoro, doppiava in quantità industriale pellicole pronte per essere lanciate sul grande mercato nero dei VHS.
Superando con buona volontà ogni possibile ostacolo tecnico, Irina doppiava sul momento al primo ascolto e dava voce a uomini, donne e bambini, Stallone e Van Damme al di fuori della censura ufficiale.
Si trovava così a pronunciare parole impronunciabili nella Romania dell’epoca – come “comunista puzzolente” ma anche “Babbo Natale” – ma non mancava di attuare una sua censura: questa volta delle parolacce, che venivano sostituite con espressioni infantili, con risultati esilaranti.
Oltre a Irina, il documentario porta in scena le testimonianze dei fruitori di questo mercato illegale dei sogni per ricostruire le emozioni di un pubblico che si affacciava a quella finestra sul mondo rappresentata dai film.
Che in alcuni casi si trasformava in un baratro, specie quando, come capitò a una delle testimoni, il primo film che si trovò a vedere fu “Tango a Parigi”. E dove i “trafficanti di film” corrompevano le guardie di frontiera per “andare a prendere i film in un mondo sconosciuto”, come spiega uno dei testimoni.
“Chuck Norris vs Communism è un film splendido che racconta la curiosità che vince un regime opprimente, il fascino del proibito, il diverso significato dei prodotti culturali in un contesto estraneo e il messaggio liberatorio portato dal cinema di serie B hollywoodiano. E di come non esistano frontiere così sigillate da non poter essere penetrate.
Forse però il ruolo di Irina, presentata come un’eroina anti-sistema, potrebbe più facilmente essere inquadrata in quella zona grigia di persone che approfittavano dei buchi di un sistema che iniziava a fare acqua e che si sarebbero trasformati solo dopo il 1989 in partigiani della libertà.