Pashupatinath – Day 12

Un diario per immagini, il Nepal del dopo terremoto e la vita che continua

testo e foto di Michela Chimenti, da Kathmandu

Pashupatinath è il più importante tempio induista del Nepal.

Shiva, cui è dedicato, è contemporaneamente creatore e distruttore, vita e morte.
Shiva è il Tutto e anche il Nulla. E questo luogo è la summa di tutte queste cose.
Pashupatinath è una tappa imprescindibile per chi visita Kathmandu: questo infatti è il luogo in cui avvengono le cremazioni. Mano a mano che ci si addentra nell’essenza di questo Paese, si scopre che la realtà è sempre più maestosa ed incredibile del letto o del sentito dire.

Pashupatinath è emotivamente e morfologicamente un luogo che racconta tutto.

L’accesso al tempio principale è vietato ai non hindu, ma le scale portano oltre, sulla collina: il viaggio è appena iniziato. Si sale, fra cani dormienti, templi ricostruiti e ancora a pezzi, fra coppie di giovani innamorati che si emozionano solo stando sedute su un gradino.

Provo a rubare qualche scatto ma la timidezza e la paura di essere scoperti dietro un tempio a scambiarsi timide effusioni, fa nascondere il volto della ragazza sul petto del suo amato.
Poco a poco si scende, fra alberi che sembrano stare lì da sempre e templi nascosti, turisti e nepalesi, Sadhu e Baba (santoni locali) e si arriva al Bagmati, il fiume sacro.

 

 

Spesso ho sentito dire da chi ha viaggiato prima e molto più spesso di me, in India in particolare, quanto il rito della cremazione sia in realtà una pratica non igienica, sporca, perché i ghat – piattaforme di roccia che si affacciano al fiume, dove vengono riposte le pire con le salme – vengono puliti con secchiate di acqua e i resti dei cadaveri si riversano nel fiume. Tecnicamente è vero. Ma questa ritualità, i momenti che si vivono e respirano fra le puja (offerte di fiori) e il Bagmati, che fra un mese si rialzerà dal suo letto con l’arrivo del monsone, trascende questa razionale constatazione.

Qui, davanti a questa magnificenza, seduta sui gradini, penso solo a quanto in un unico posto la vita e la morte siano unite in completa armonia.

Una pira è quasi spenta e il fumo attraversa il sole che sta tramontando. Su un altro ghat, alcuni parenti chiacchierano davanti al caro estinto. Oltre il ponte, una salma è pronta per il suo viaggio: stesa su legni, avvolta in stoffe arancioni e ricoperta di fiori, attende di essere posta sulla pira per la cremazione.

Attraverso un piccolo ponte di sacchi e corde e mi guardo in giro, in punta di piedi, per evitare di offendere qualcuno, ma famigliari e astanti parlano tranquillamente fra di loro in attesa che il rito si compia. Passo di fianco alla salma stesa a terra e penso a quanto belli siano quei colori, e a quanto sarebbe tutto così diverso se steso sulla roccia ci fosse un elegante abito scuro. Questo rito è così lontano da quello che conosco…

Ormai è buio. In un attimo si è di nuovo in mezzo al traffico e ai clacson. La strada è bloccata e il silenzio del tempio è un ricordo lontano. Un Baba saltella e ride, riesce ad attraversare la strada in mezzo a quel groviglio di auto, moto e rickshaw con una coreografia perfetta.
Un’ottima metafora della vita di fine giornata.

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