Testo e foto di Giuseppe Bizzarri, da Rio de Janeiro
Tutto è transitorio nella vita, ma ultimamente la politica e la realtà di milioni di brasiliani sono cambiate molto in fretta. Troppo. È questa la sensazione, oggi, palpabile che si sente per le strade del paese che rincorre da tempo un futuro di cui ha sempre sentito parlare, ma che non è mai giunto tra la gente.
Oggi sono in molti a chiedersi che cosa accadrà nei prossimi mesi, anzi giorni, al gigante sudamericano che per più di un decennio sorprese il mondo con le sue politiche sociali e performance economiche, ma che oggi si trova in piena crisi politica ed economica. Dilma Rousseff – l’ex guerrigliera eletta presidente per la seconda volta nel 2014, grazie ai voti di 54 milioni di brasiliani – si trova oggi sotto impeachment al Senato, il quale, probabilmente, deciderà – due o tre giorni prima dall’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro – quando sarà fissata la data in cui i senatori voteranno se destituirla definitivamente.
A sostituirla è Michel Temer, il presidente ad interim, il quale ha dato una virata certamente a destra e neo liberale alla politica, con il suo nuovo governo in cui sono confluiti, ora, i partiti dell’opposizione, i quali sono andati al potere, nonostante abbiano perso l’elezione presidenziale e generale nel 2014.
Temer è considerato un traditore golpista in Brasile. Lo è soprattutto per Rousseff che l’ha visto tramare alle sue spalle, conducendo la ribellione del Pmdb, il “Partido do Movimento Democrático Brasileiro”, il partito di cui era anche presidente fino a pochi giorni fa.
Il Pmdb è stato per quattordici anni il principale alleato del Pt, il Partido dos Trabalhadores, il partito di Dilma, ma anche di Lula, al quale, alla fine del suo mandato presidenziale, gli fu imposto Temer in cambio dell’appoggio politico da dare alla candidatura della prima presidente donna del Brasile. Il Pmdb, il partito che ha governato il paese con qualsiasi tipo d’alleanza politica succeduta ai governi dei militari, aveva nel governo Rousseff ben sette ministeri. Appena insediato, il presidente ad interim ha tranquillizzato il mercato finanziario nominando Henrique Meirelles al ministero delle Finanze, il quale ha annunciato sanguinosi tagli alla sanità, all’educazione e la riduzione dei noti benefici sociali nel paese, dove la popolazione è in maggioranza povera.
Temer ha poi ridotto il numero dei ministeri e ha ordinato di privatizzare al massimo i settori pubblici, tra cui il filé mignon delle commodity brasiliane, il petrolio, soprattutto quello nei grandi giacimenti del Presal. Infine, l’ex vice di Dilma punta assieme a Meirelles a compiere quello che la finanza ha sempre desiderato, ossia cambiare la previdenza sociale, anche a costo di mutare la costituzione.
Rousseff, Lula, ma anche giuristi, intellettuali e artisti, in Brasile e nel mondo, considerano l’impeachment un “golpe branco” , molto simile nelle dinamiche a quello avvenuto contro Fernando Lugo, il presidente del Paraguay, deposto in meno di 36 ore nel 2012.
Sembrava che Temer e la sua corte di partiti di centro-destra, molti dei quali neo-pentecostali, avessero saldamente in mano il potere, poi la destituzione della Rousseff sarebbe stata solo una questione di giorni. Come in una “novela brasileira”, però, la politica ha avuto una sorprendente virata, pochi giorni dopo, quando il nuovo governo si è insediato a Brasilia.
Temer – ma anche il presidente del senato, Renan Calheiros, l’ex presidente della camera Eduardo Cunha, l’ex presidente della pianificazione, Romero Jucá, il leader del partito neo liberale del Psdb, Aécio Neves e per finire l’ex presidente José Sarney, la potente eminenza grigia del Pmdb – sono finiti sotto la mira dei magistrati che conducono l’investigazione della Lava Jato, come è chiamata la tangentopoli della Petrobras, l’azienda petrolifera statale, indagata dalla magistratura di Curitiba e comandata dal giudice Sérgio Moro, considerato oggi dalla rivista Time, tra le cento persone più influenti del mondo.
Seppure la Lava Jato ha dato all’opposizione munizioni per promuovere l’impeachment e attaccare il Pt, il potere giudiziario – non legato al Supremo tribunale federale di Brasilia, ormai totalmente asservito alla volontà politica dei filogovernativi – ha ora iniziato a colpire duro i leader del golpe, soprattutto quelli del Pmdb. L’ha fatto consegnando alla stampa le imbarazzanti conversazioni registrate segretamente dall’ex presidente della Transpetro, Sérgio Machado, con i capi della cupola del Pmdb.
Le registrazioni sono avvenute prima che la Camera votasse l’impeachment di Rousseff e Machado, coinvolto nella Lava Jato, ha consegnato nella sua delazione premiata i nastri delle conversazioni all’equipe del giudice Moro. “Bisogna avere l’impeachment. Non c’è uscita”, “Ho parlato ieri con alcuni ministri del Supremo. I ragazzi dicono che l’unico modo, è quello di rimuoverla. Fino a quando ci sarà lei alla presidenza, la stampa, gli altri vorranno toglierla di mezzo e questa merda non finirà mai. Sto parlando con i generali, i comandanti militari. È tutto tranquillo, i ragazzi dicono che garantiscono”, afferma Romero Jucá, l’ex ministro della Pianificazione brasiliana a Sergio Machado nella prima registrazione diramata dalla Procuratoria generale della Repubblica e pubblicata dal giornale la Folha de Sao Paulo. La rilevazione mostra chiaramente come l’impeachment e’ stato premeditato dettagliatamente per rimuovere la presidente.
In pochi giorni la Procuratoria della Repubblica ha fatto sapere a milioni di brasiliani una serie di conversazioni a dir poco illuminanti sulla classe politica che governa il paese.
Le pubblicazioni della stampa brasiliana, fino a poco tempo fa totalmente contro il Pt e la Rousseff, si rivolgono negli ultimi giorno stranamente contro i fautori dello impeachment, i quali mostrano ora nervosismo e preoccupazione.
Ma perché la magistratura brasiliana attaccherebbe ora anche il governo Temer, dopo che ha legnato il Pt a lungo? Perché lo fa ? L’elite politica ha sempre avuto copertura giudiziaria: la corruzione è endemica nella società brasiliana. Persino Calheiros, ma soprattutto Sarney – l’ex presidente della Repubblica eletto dai militari prima che il generale João Figuereido riconsegnasse la democrazia ai brasiliani nel 1985 – è caduto nella rete del giudice Moro, il quale ha divulgato le loro sconcertanti conversazioni. Nel dialogo, i due politici mostrano chiaramente la premeditazione di volere manipolare la giustizia, la politica, ma soprattutto bloccare la Lava Jato che minaccia il partito e loro stessi.
“È la dittatura della giustizia. È la peggiore di tutte”, afferma Sarney a Machado in una registrazione, il quale gli risponde che i giudici vorranno assumere il “potere per terminare il lavoro”. Chissà forse ha ragione lui. Chissà se l’ha pensato anche la rivista Time, quando ha invitato il giudice Moro e consorte alla festa degli uomini più influenti del mondo a New York . Nulla in politica e nei media avviene per caso. Secondo il professore di Comunicazione sociale dell’Università statale paulista, Francisco Machado Filho, il voltafaccia di Curitiba è in realtà una tattica per preparare l’arresto di Lula, il quale, secondo Datafolha, sarebbe eletto presidente, se l’elezione presidenziale avvenisse oggi. Lo farebbero per evitare una rivolta popolare, poiché, secondo il professore, la carcerazione del presidente più amato della storia brasiliana potrebbe creare un caos e ritorcersi contro tutta la classe politica al governo Temer.
Da una parte, sorprende il silenzio di Lula che, da quando la Rousseff è stata sospesa, si è visto poco in giro e ha fatto pochissime dichiarazioni. Sembra che non voglia approfittare degli attacchi del giudice Moro contro Temer e il Pmdb per rivendicare il ritorno al potere della Rousseff.
Non lo fa perché forse non può, o non vuole tagliare i ponti con i leader del Pmdb, ma anche perché sia lui che la Rousseff probabilmente sapevano del mega schema di corruzione che ha sempre regolato la politica brasiliana sin dai tempi di Cabral.
Nessuno si scandalizza per questo in Brasile. “Rouba mas faz”, ruba ma fa, è un detto molto comune in Brasile, è stato lanciato da Ademar de Barros, l’ex sindaco di Sāo Paulo, il noto leader del Pmdb che ha introdotto Temer nella carriera politica. Ma quello che teme il governo e, soprattutto, l’elite brasiliana, sono l’elezioni anticipate, qualcosa cui sfuggono deputati e senatori, poiché il sessanta per cento di loro, secondo la Ong Trasparencia Brasil, è accusato di corruzione, broglio elettorale, omicidio e sequestro. Hanno timore per la loro immunità parlamentare che, probabilmente, perderanno se milioni di brasiliani, esasperati per la crisi economica e politica – iniziata dal primo giorno in cui Rousseff ha iniziato il suo secondo mandato presidenziale – votassero a ottobre. Temono anche il ritorno di Lula, o persino della protettrice dell’Amazzonia, l’evangelica Marina Silva, con il suo nuovo partito, Rede Sustentabilidade, cui potrebbero confluire non solo i voti degli insoddisfatti brasiliani, degli ambientalisti, ma soprattutto degli evangelici progressisti.
Se il Pmdb continuerà a subire attacchi e, le manifestazioni, presenti già nel paese, aumenteranno il malcontento popolare contro il governo Temer, potrebbe aprirsi anche una breccia per Rousseff tornare al potere, seppure al momento questo sembri poco probabile.
Questo si saprà tra circa sessanta giorni, quando il senato voterà se destituirla definitivamente. La situazione politica resta imprevedibile, ma soprattutto misteriosa, poiché rimane intatto l’interrogativo di capire chi siano gli occulti personaggi che operano sullo sfondo della magistratura brasiliana e che osano ora attaccare anche potenti, come Sarney, Cunha, Calheiros, Temer, Neves e Serra. “La democrazia brasiliana si muove ancora nel cerchio tracciato dai militari” ha detto Francisco de Oliveira, noto sociologo, tra i fondatori storici del Pt, da cui è fuoriuscito per dare origine al partito del Psol.
Per certi aspetti la situazione politica brasiliana rammenta il momento storico italiano, in cui Mani Pulite toglieva di mezzo una generazione di politici corrotti negli anni Novanta. Alcuni osservatori dicono che oggi il giudiziario brasiliano ha sostituito i militari per rimuovere assetti politici disegnati democraticamente. È quello che è accaduto all’ex presidente del Paraguay, Lugo e oggi a Rousseff. In un articolo dell’ex corrispondente, e oggi direttore del giornale La Stampa, Maurizio Molinari, l’ambasciatore americano in Italia Reginald Barthlomew, denunciò chiaramente l’influenza americana nel processo giuridico e politico che avvenne durante l’inchiesta condotta da Di Pietro.
Bartholomew, secondo Molinari, era un diplomatico raffinato e colto, il quale era convinto che il passaggio alla Seconda Repubblica dovesse essere opera di una nuova classe politica italiana. Nel pezzo pubblicato su La Stampa, l’ambasciatore americano parla del suo predecessore Peter Secchia, il quale aveva “consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite”. “Bartholomew – scrive Molinari – rivendica il merito di aver rimesso sui binari della politica il rapporto fra Washington e l’Italia, dirottato dal legame troppo stretto fra il Consolato di Milano e Mani Pulite, identificando in D’Alema e Berlusconi due leader che negli anni seguenti si sarebbero rivelati in più occasioni molto importanti per la tutela degli interessi americani nello scacchiere del Mediterraneo”.
Wikileaks nei giorni scorsi ha rivelato che Temer sarebbe stato un informatore degli Stati Uniti e il presidente Obama ha nominato nei giorni scorsi Peter McKinley, come nuovo ambasciatore americano in Brasile. McKinley sostituisce Liliane Ayalde, l’esperta diplomatica in America Latina ed ex dirigente di UsaAid, la quale casualmente lasciò l’Honduras e il Paraguay poco tempo prima che i presidenti eletti democraticamente venissero rimossi da un golpe bianco.
La diplomatica d’origine sudamericana andrà via anche questa volta prima in cui la Rousseff, un presidente, potrebbe essere rimossa. Ayalde ha integrato il dipartimento di stato di Obama tra il 2012 e il 2013. L’anno dopo il presidente americano la inviava in piena crisi diplomatica in Brasile, dopo che Julian Assange, il creatore di Wikileaks rivelava che Rousseff era la presidente più spiata dalla Cia in America Latina. Nello stesso anno cominciavano a esplodere le grandi dimostrazioni giovanili che si organizzavano per la prima volta sul web e che sorpresero non solo il governo petista, ma anche l’opposizione in Brasile.
Sì, saranno tutte coincidenze, ma anche McKinley è un grande esperto in conflitti. Viene dall’Afganistan e promuove privatizzazioni nel mondo, giacché, sempre secondo Wikileaks, è specializzato in trattati bilaterali nel settore del libero commercio tra Stati Uniti e i paesi vicini al Brasile.
È curioso che McKinley, il quale ha passato la giovinezza con i genitori in Brasile, ed è stato ambasciatore in Peru e Colombia, durante il periodo più duro della guerra civile contro le Farc, giunga in Brasile proprio quando Temer e Meirelles, l’ex presidente mondiale del BankBoston, vogliano privatizzare ulteriormente settori pubblici, tra cui il petrolio brasiliano. È strano anche il fatto che tra i pivot che hanno provocato la caduta del Pt e del governo Rousseff vi sia proprio lo scandalo della Lava Jato, la tangentopoli della statale petrolifera. Sarà un altro caso, ma il neo ministro degli esteri, José Serra affiliato al partito neo-liberale del Psdb, è l’autore di una legge in fase d’approvazione definitiva, con cui si toglierà alla statale Petrobras il monopolio del pompaggio petrolifero del Presal.
Strano che tutto ciò avvenga in questo momento. “È un orrore. Com’è possibile che Serra, un uomo con la sua traiettoria politica faccia una simile proposta, smontare il monopolio della Petrobras? Sicuramente le multinazionali petroliferE ridono molto in questo momento”, ha dichiarato Francisco de Oliveira in una intervista rilasciata a L’espresso. Il sociologo non crede che le multinazionali agiscano nella Lava Jato. “Non credo che l’alimentino, ma è anche vero che Cardoso, il quale è dello stesso partito di Serra, avrebbe voluto nella sua presidenza privatizzare la Petrobras”, afferma il sociologo, il quale crede che l’ex presidente e Serra avrebbero ricevuto fondi per privatizzare la Petrobras. “Chiaro che lo credo. Sono cose impossibili da provare, ma è certamente così. Gli americani non hanno mai accettato che Getúlio Vargas abbia scelto la soluzione statale per la Petrobras. Dietro le crisi come quella che sta passando oggi il Brasile si vede sempre l’ombra delle multinazionali”, afferma Francisco de Oliveira.