Quando i profughi eravamo noi, il libro di Carlo Ruggiero e il viaggio sulle orme di una vecchia foto di famiglia
di Christian Elia
“Questa è una storia vera. Giona non è un romanzo, o almeno non lo è del tutto. Non è neanche un reportage, o non lo è del tutto. E non è nemmeno un diario. O magari si, ma solo in parte. In realtà, è tutte queste cose insieme”.
Carlo Ruggiero chiude così il suo libro Giona – Quando i profughi eravamo noi, edito da RoundRobin. Un pezzo di ottimo giornalismo narrativo, una vicenda più che comune, addirittura personale, per un affresco sulla guerra, sull’essere profughi, sull’Italia e la sua scarsa memoria.
Ed è proprio la memoria la compagna di viaggio di un libro da leggere, perché tutto nasce da una fotografia, che ritrae la famiglia di Ruggiero nel Nord Italia, nel 1945, sfollati dalla zona di Cassino massacrata dai bombardamenti alleati e dalle rappresaglie e dai rastrellamenti nazisti.
Una storia vera, appunto, che spinge l’autore a seguire il flebile filo della memoria dei sopravvissuti, il filo spesso dei documenti ufficiali del tempi, il filo tutto da tessere del rivisitare oggi i luoghi importanti di allora.
Ecco che all’afflato universale dell’orrore della guerra e dei civili in fuga, si riannoda la vicenda dell’Italia nel 1943 – 1945, divisa e ferita tra profittatori, fascisti, partigiani. Nazisti e Alleati. Mentre una famiglia è una famiglia, capace di vivere solo in un contesto di affetti e di lotta per la sopravvivenza.
La vicenda si snoda attraverso la fuga della famiglia di Giovanna e Gaspare, con i loro quattro figli, dal paesino di Coreno Ausonio, provincia di Frosinone. Un pezzo di mondo rurale e arcaico, dove la modernità decide di fare il suo ingresso in mimetica e con una mitraglia.
Una cascina prima, una grotta poi, come animali braccati. E le mine, e la linea del fronte da passare, e le stragi. Poi la deportazione: Giovanna e i figli in provincia di Pavia, Gaspare a Rubiera di Reggio Emilia. E la rincorsa del padre a ritrovarli.
Gli inserti narrativi, evidenti, mai truffaldini, sono la rielaborazione del giornalista e del nipote, che mette assieme i pezzi di un mosaico che non è solo gioia di averla scampata, ma anche silenzi, reticenze, voglia di oblio.
Lo stile che incontra il viaggio, senza mai strafare o stridere, è suadente, umano. L’autore di oggi riesce a cogliere le connessioni tra la sua identità, quella della sua famiglia, con la sorte dei profughi di oggi e con quella che accomuna tutti i profughi del mondo. Anche quelli sentimentali.
Il lavoro di ricerca e di scrittura di questo libro, sono stati raccontati da Carlo Ruggiero, che ringraziamo, in anteprima su Q Code Mag. Potete leggere tutte le puntate, a questo link.