Cara Pina

Un ricordo di Pina Maisano, la vedova dell’imprenditore Libero Grassi assassinato dalla mafia nel 1991 per essersi ribellato al racket, scomparsa il 7 giugno scorso

di Arianna Tascone*

Per chi ama scrivere, un foglio bianco è un’occasione, una sfida. L’unico modo per aprire una finestra nei nostri pensieri, da cui gli altri possano affacciarsi.
Per qualcuno, un foglio bianco e una penna furono una condanna a morte. Parlo di Libero Grassi e della sua Lettera al caro estortore, con tutte le conseguenze che quest’ultima comportò.

Ma non è di Libero che voglio scrivere. No. Io voglio scrivere di sua moglie, Pina.

Ho fatto fatica ad aprire la finestra sul dolore della sua perdita, tuttavia mettere la penna su questo foglio per me è un dovere. Tutti quelli che ci lasciano, ci porgono il testimone del loro ricordo da mandare avanti. Accetto dunque tale responsabilità e voglio ricordare Pina, fuori dai giornali e dall’immagine pubblica, raccontando il nostro primo incontro.

Ero ancora una liceale ed ero a Palermo con la mia classe per una manifestazione in ricordo di Libero Grassi. Incrociai più volte lo sguardo di Pina e nonostante la forte differenza di età, riconoscemmo nell’altra lo stesso spirito libero e indipendente.

Vi era una comune scintilla nel fondo dei nostri occhi, pronti ad infiammarsi d’indignazione di fronte alle ingiustizie e al contempo ad emozionarsi per la bellezza recondita che il mondo offre ai giusti osservatori. La sera ci ritrovammo a cena e mi chiese di sedermi accanto a lei e mi parlò come se mi conoscesse da sempre. La mia emozione era tale da non riuscire a porgerle nessuna delle domande che avevo per la testa, viceversa lei non perse occasione per chiedermi della mia vita.

Non avevo mai visto così tanta curiosità in una persona anziana, quando persino noi giovani a volte ci lasciamo vincere dall’apatia e dalla sicurezza di aver visto tutto, in lei vedevo l’ostinato bisogno di scoperta. Mi sembrava un sogno e temevo che prima o poi arrivasse qualcuno a svegliarmi. Invece no, poco dopo con i miei compagni ci ritrovammo seduti a terra ad ascoltare le parole di Pina.

Quello che avevo colto nel suo sguardo, quell’indipendenza e quella forza, le ritrovai ancor più forti nei suoi racconti. Non ci fu nessuna ufficialità in quel momento, né tantomeno premeditazione.

Eravamo lì come dei nipoti ad ascoltare le storie di una nonna speciale. Rimanemmo tutti stupiti della sua capacità di esprimere senza paura alcuna il suo pensiero e allo stesso tempo la profonda fiducia nella parte sana delle istituzioni. Davvero ero sicura che stesse arrivando qualcuno a darmi un pizzicotto per farmi svegliare da quel sogno. Invece arrivò la carezza di Pina e le sue parole « Sentiremo parlare di te e io dirò di averti conosciuta!».

Ecco cos’era Pina. Non era una vedova inconsolabile. Era una vedova incazzata (parole sue). Ma nonostante questo aveva la capacità di cogliere la bellezza nelle cose e nelle persone, sapeva valorizzarla. Dalla sua rabbia trovò la forza di costruire, anche se sarebbe stato molto più facile distruggere e lasciar perdere.

Era anziana, eppure camminava a passo svelto e a schiena dritta. Pina aveva fretta di conoscere il nuovo senza dimenticare il vecchio, tutto dalla giusta angolazione. L’angolazione delle persone libere, mai sottomesse e mai arrese.
Questo è il testimone che Pina mi ha lasciato, un dono inestimabile da custodire e da mandare avanti.

*studentessa universitaria – vincitrice Premio Libero Grassi 2011 con l’intensa “Lettera al caro estorsore”