Dalla vittoria della Brexit alle manifestazioni contro la Loi du Travail, la riflessione di Bruno Giorgini sulla crisi politica e sociale di Francia e Regno Unito.
Di Bruno Giorgini
Per l’intanto l’UK, l’orgoglioso Regno Unito, dopo il Brexit si disarticolerà almeno in tre entità: il piccolo arcigno regno d’Inghilterra con al centro la libera città di Londra, la Scozia che vuole in massa essere indipendente e europea, l’Irlanda del Nord dove la pace firmata dall’IRA è/era garantita dall’Europa in una prossimità intensa con la Repubblica d’Irlanda, Stato afferente alla UE.
Sperando che la separazione avvenga in modi non violenti, perché pochi giorni prima del voto è accaduto che una deputata laburista inglese pro UE sia stata sparata e pugnalata a morte al grido di Britain First – prima la Gran Bretagna – da un neonazista, nel pieno di una campagna referendaria molto aspra, ben oltre una pur dura polemica. Sul piano politico è facile prevedere una deriva a destra in senso nazionalista dell’ottuso partito conservatore, mentre Farage si prepara a raccogliere ciò che ha seminato, e il leader laburista Jeremy Corbyn dovrà decidere cosa fare da grande perché nel corso della campagna referendaria è stato poco più, o meno, di un’appendice parolaia quando non folcloristica.
C’informa Prodi che pro Brexit hanno votato i poveri, come in altri tempi, vien voglia di dire, alle essessee (SS) alle essea (SA) naziste parteciparono in modo militante moltissimi proletari e sottoproletari. E così ai poveri gli tocca non solo la miseria, ma anche la responsabilità del nazismo tedesco ieri e/o del nazionalismo inglese oggi – il che francamente par troppo.
Fuor di polemica, la politica delle diseguaglianze sociali, della riduzione dei diritti dei lavoratori, dell’accentramento oligarchico, dell’accumulazione di profitto a ogni costo, della mancanza di democrazia e di voce dei cittadini nella cosa pubblica europea hanno certamente pesato nel voto pro Brexit, e qui la mancanza di una sinistra chiara, combattiva, determinata sui valori, non succube del mercato si fa sentire assai.
Il che ci porta in Francia, dove da oltre tre mesi si incrociano scioperi, manifestazioni, scontri con la polizia, il movimento assumendo a volte le caratteristiche di una vera e propria rivolta sociale. Rivolta sociale contro un governo che si dice socialista e di sinistra.
Rivolta sociale guidata dai lavoratori, quelli dei trasporti, dei porti e dell’energia come nerbo della protesta e della lotta, con i sindacati schierati al loro fianco, CGT e FO innanzi a tutti sul fronte operaio e UNEF per gli studenti. Mentre la CFDT, qualcosa di simile alla nostra CISL, agisce come un sindacato di stato e durante una delle ultime manifestazioni una sua sede è stata devastata, ricordate da noi nel ‘ 62 i fatti di piazza Statuto a Torino quando gli operai FIAT in corteo attaccarono la sede della UIL e dei sindacati gialli simil padronali, ecco più in piccolo ma qualcosa del genere è accaduto anche a Parigi.
Un deputato del PS (Partito Socialista) la dice così: se anche votassimo la sesta o settima o ottava settimana di ferie la gente continuerebbe a rimanere in strada.
Tale e tanta è l’esasperazione.
Nodo del contendere la loi du travail, la legge che il governo vuole imporre a ridurre drasticamente i diritti dei lavoratori, ampliando il comando padronale sulla forza lavoro fino al controllo diretto del tempo di lavoro e di vita del singolo lavoratore al di là e oltre le leggi stabilite dal codice civile quindi senza possibilità di interevento dei giudici, e oltre il contratto nazionale che verrebbe del tutto annichilito. Si potrebbe definirla una legge totalitaria in senso proprio per il lavoratore.
La legge ha incontrato subito un’ampia opposizione prima di tutto in Parlamento, e là è avvenuto lo strappo fondamentale, se si vuole la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Di fronte alla fronda di un’ampia parte dei deputati socialisti e di sinistra – verdi, radicali, scaglie varie – il governo non ha trovato nulla di meglio che imporre la legge facendo appello all’articolo 49 – 3 (Il Primo Ministro può, su deliberazione del Consiglio dei ministri, impegnare la responsabilità del Governo dinanzi all’Assemblea Nazionale sulla votazione di un testo. In tal caso il testo è considerato adottato, salvo che una mozione di sfiducia, presentata nel termine di 24 ore, sia votata nei modi previsti dal comma precedente).
Questo articolo, varato da De Gaulle, permette in casi eccezionali di saltare il voto parlamentare, e la legge ha valore esecutivo comunque – un poco come gli atti esecutivi del Presidente USA. De Gaulle lo scrisse perché al tempo della guerra d’Algeria egli volendo fare la pace e concedere l’indipendenza, temeva l’opposizione della maggioranza parlamentare, timore non peregrino essendo che anche il PCF, per non dire dei socialisti, era contro l’indipendenza tout court, propendendo per forme più sfumate, e soprattutto eranto tutti o quasi contrari all’esproprio dei beni e delle terre dei francesi d’Algeria, i pieds noir, circa un milione, che nel giro di qualche mese furono cacciati dall’Algeria con poco più della biancheria intima, migrando nella madrepatria.
Ovvero è apparsa subito palese la forzatura del governo nell’applicare il 49-3 a una legge sociale senza alcuna caratteristica d’urgenza e, per così dire, di salvezza della patria.
Così la parola è passata alla piazza e alla mobilitazione sociale, rinfocolata ogni volta tra l’altro dalle iniziative poliziesche.
Come epicentro da cui provare a dipanare la matassa scegliamo la grande manifestazione del 14 giugno con il prosieguo di scontri con la polizia anche molto violenti. Il Prefetto di Parigi, che grosso modo incrocia le funzioni dei nostri Prefetti con quelle di questore, accusò allora la CGT di avere preso parte “alle violenze” indicando in modo molto preciso i lavoratori portuali dell’ovest come protagonisti degli scontri. E con l’Ovest intendeva sostanzialmente i dockers di Le Havre. Da qui il primo ministro Valls ha preso spunto per indicare la CGT come forza che agisce con metodi violenti al fianco dei più tradizionali casseurs, i rompitori, in genere qualificati come “anarchici” e/o “ autonomi” e/o Black Bloc. Arrivando all’ipotesi di vietare le altre manifestazioni in programma, con un uso spregiudicato a dir poco dello stato d’eccezione tutt’ora in vigore. E suscitando un inevitabile vespaio, con benzina pura buttata sul fuoco.
Una ricostruzione puntuale dei fatti dice invece così. Alcune centinaia di portuali di Havre tutti vestiti coi caschi, le bandiere e altri arnesi da lavoro stavano dopo lo scioglimento del corteo dirigendosi ai pullman che dovevano riportarli a casa, quando un reparto di polizia li ha attaccati a freddo, incontrando una risposta piuttosto robusta.
Ma perché i poliziotti sono stati mandati a compiere una azione del tutto inutile per l’ordine pubblico. E non è l’unico caso.
Già accadde forzando in modo molto violento i picchetti delle raffinerie nella zona di Marsiglia, e per esempio Liberation ha indagato sul preteso assalto all’ospedale pediatrico Necker che tanto scandalo ha creato, scoprendo che la vetrata andò in frantumi non perché i manifestanti volevano occupare l’ospedale, ma perché alcuni inseguiti dagli agenti scatenati, speravano di trovare rifugio e tregua nell’area dell’ospedale, cosa certo non encomiabile ma tutt’altra da un assalto.
In realtà l’uso disproporzionato della forza militare contro i manifestanti, gli esempi sono molteplici anche contro i liceali, ragazzini dai 14 ai 18 anni tanto che alcuni deputati chiedono una commissione d’inchiesta parlamentare, non è frutto di provocazioni più o meno isolate, ma piuttosto di una strategia che corre sul filo di un rasoio.
Una strategia che ha la sua mente nel primo ministro Valls e che chiamerei quella di una “guerra civile larvale”, tentando di buttare fuori dal recinto democratico un sindacato come la CGT, equiparata a una organizzazione dedita programmaticamente all’esercizio della violenza, tutta la sinistra non socialista, e puranche la sinistra socialista più volte minacciata di provvedimenti disciplinari non accodandosi al Valls pensiero.
Il disegno di Valls è emerso con nettezza quando la mattina del 22 il Prefetto di Parigi vietava la manifestazione dei sindacati su indicazione diretta di Valls, come Le Monde ha titolato nell’edizione di mezzogiorno. In coincidenza, difficile dire se voluta, Le Monde online del 22 giugno titolava in prima: Allarme sui pericoli del lavoro notturno per la salute, riempiendo l’articolo di statistiche volte a certificare tutti i danni, cominciando dal cancro, che il lavoro di notte induce. Proprio quel lavoro incentivato e reso in molti casi obbligatorio dalla legge contestata da sindacati e lavoratori.
Comunque di fronte alla determinazione delle organizzazioni operaie e studentesche, il governo ha fatto retromarcia, un voltafaccia, concedendo l’autorizzazione per un percorso breve attorno a Place de la Bastille, e tutti lo hanno letto come una sconfitta di Valls. Il che non significa che il nostro rinunci alle sue ambizioni di leader maximo mettendo anche a rischio la convivenza civile, ma soltanto che il movimento ha aperto una fenditura nel muro governativo, e forse indotto a riflettere il Presidente Hollande.
Perché a Hollande Valls vuole fare le scarpe, portandolo in rotta di collisione irreversibile con il suo elettorato naturale.
In questo contesto Marine Le Pen si sfrega le mani, non perché voglia uscire dalla UE, ma perché vuole correre sul serio per diventare Presidente della V Repubblica, entrando in campo quando i contendenti sedicenti socialisti si saranno sfiancati nel gioco al massacro, e avranno sfiancato il paese che già non ne può più.
Sia la falla di Cameron che per ragioni puramente elettoralistiche e di suo potere personale indice con stratosferica stupidità un referendum che lo spazza via, aprendo una crisi drammatica con un paese spaccato a metà come una mela, che la spregiudicata “guerra civile larvale” cui si esercita il cinico Valls ricordano da vicino nella sostanza il comportamento di Milosevic e Tudjman all’inizio dell’ondata che porterà alla guerra balcanica combattuta sulle spoglie della ex-Jugoslavia.
Tra l’altro in singolare coincidenza gli scontri tra gli ultrà ai bordi del campionato europeo di calcio, rimandano anch’essi al ricordo delle milizie volontarie croate e/o serbe che tra i tifosi più violenti reclutavano i peggiori e più sanguinari elementi. Con sullo sfondo le azioni terroristiche come quella che ha portato alla morte di due poliziotti francesi, marito e moglie, uccisi pochi giorni fa praticamente sulla soglia di casa, a rendere il panorama ancor più cupo e difficili le soluzioni.