di Francesco Vignarca, tratto da Tracce
Pochi giorni, poi la cancellazione. È questo il tempo complessivo di permanenza dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati, impegnati da oltre un anno di azioni militari nella sanguinosa guerra dello Yemen, nella lista nera delle Nazioni Unite delle realtà che violano i diritti dei bambini nei conflitti armati.
È bastato che il segretario generale Ban Ki-moon, nel presentare l’annuale rapporto ONU sul tema, citasse l’alleanza guidata da Riad come responsabile del 60% degli oltre 2mila bimbi rimasti feriti o uccisi in Yemen per scatenare una possente controffensiva diplomatica. Lo stesso Ban ha ammesso che la pressione per cancellare dalla lista l’Arabia Saudita è stata massiccia, e ha usato come “arma” anche la minaccia di bloccare fondi per gli aiuti umanitari in Palestina, Sud Sudan e Siria. Una debacle senza precedenti per le istituzioni Onu e per tutta la comunità internazionale, che si è consumata nella prima metà del mese di giugno. Anche se il regno saudita non è più ufficialmente compreso nell’elenco delle realtà che violano i diritti dei bambini in un conflitto armato, però, il problema rimane aperto in tutta la sua drammaticità: la guerra in Yemen prosegue con impatto sulla popolazione civile talmente preoccupante che addirittura l’amministrazione Obama ha deciso di bloccare l’invio di bombe cluster. Uno stop derivante proprio dal confermato e allarmante uso indiscriminato per questi ordigni nel conflitto yemenita.
Se Washington, che negli ultimi anni ha rifornito Riad di miliardi di dollari in armamenti, ha deciso di fermarsi, probabilmente la situazione non può essere minimizzata. Come invece ha fatto nei mesi scorsi e a più riprese il Governo italiano.
La “questione saudita” infatti tocca da vicino anche il nostro Paese: a partire dal maggio 2015 sono stati documentati almeno 6 invii di bombe dalla fabbrica RWM Italia di Domusnovas in Sardegna verso l’Arabia Saudita. Consegne che hanno spinto la Rete italiana per il Disarmo a promuovere esposti in diverse Procura della Repubblica per violazione della legge sull’export di armamenti. La 185 del 1990 proibisce infatti invio di materiale d’armamento a Paesi che si trovano in stato di conflitto armato. Esattamente quanto accade in Yemen. Le realtà di Rete Disarmo sono in attesa ora di riscontri da parte delle Procure interessate, in particolare quella di Roma, quella di Brescia (dove ha sede legale l’azienda controllata dal gigante tedesco Rheinmetall) e quella di Cagliari (la città da cui hanno avuto origine le spedizioni).
Il supporto delle armi italiane al regno saudita è ben certificato anche dai dati ufficiali della relazione 185/90 per il 2015: le vendite sono passate da 163 milioni di euro a ben 258. “E non ci si è fermati all’anno scorso -commenta Giorgio Beretta dell’Osservatorio Opel Brescia-. Basta pensare che risultano, secondo i dati raccolti dall’Istat, esportazioni di bombe da Cagliari verso l’Arabia Saudita ancora in corso nel marzo 2016. Per un controvalore di quasi 5 milioni di euro”.
Per mesi il governo Renzi, nel rispondere a numerose interpellanze parlamentari, ha cercato di schivare le domande, rifacendosi all’alleanza strategica con l’Arabia Saudita (elemento che però non è previsto come dirimente nei criteri della legge) o cercando di scaricare la responsabilità su altri governi.
In particolare chiamando in causa la Germania come responsabile ultima della decisione, vista l’appartenenza di RWM Italia a un gruppo industriale tedesco. Ma ciò non risulta a Berlino. “È chiaro che si tratta di una questione tutta italiana -dice ad Altreconomia Jan Van Aken, deputato della Linke al Parlamento tedesco-, perché RWM già produceva queste bombe prima dell’acquisizione da parte di Rheinmetall. E una richiesta formale di autorizzazione alla Germania deve essere fatta solo se c’è trasferimento di ‘know-how’. Nonostante ciò, dopo aver letto le notizie che rimbalzavano anche qui dalla Sardegna, abbiamo voluto una conferma ufficiale. E la risposta è stata chiara”.
Il governo di Angela Merkel ha infatti risposto all’interpellanza di Van Anken dichiarando che “nessuna competente autorizzazione” era stata emessa da Berlino per componenti riguardanti gli ordigni prodotti a Domusnovas.
“Non capiamo quindi perché esponenti del Governo italiano abbiano invece tirato in ballo autorizzazioni tedesche per queste vendite” spiega il deputato tedesco. Va inoltre sottolineato che, anche se l’accordo di vendita fosse stato davvero stipulato con la casa madre tedesca, la legge italiana prevede comunque un passaggio autorizzatorio da parte del Governo italiano anche solo per un semplice trasferimento o una lavorazione/assemblaggio parziale.
Continua Van Aken: “Per questo, anche stimolati dalle campagne disarmiste italiane, abbiamo chiesto ancora più dettagli citando le parole della ministro della Difesa Roberta Pinotti, che spostava sulla Germania ogni responsabilità. Ottenendo un riscontro ancora più esplicito: per il Governo tedesco è l’Italia ad essere responsabile del processo di licenza all’esportazione delle bombe RWM verso l’Arabia Saudita. Nessuna licenza di ri-esportazione è stata fornita all’Italia da parte di Berlino per quanto riguarda componenti o ‘know-how’ inizialmente sviluppate in Germania. Per cui il Bundesministerium fur Wirtschaft und Energie ritiene che le bombe inviate verso il regno saudita non siano state prodotte sotto licenza tedesca”.
Un punto chiaro che riapre completamente la questione della responsabilità politica (ma anche e soprattutto legale, visti i dettami della 185/90) a riguardo delle forniture di bombe italiane che la coalizione a guida Saudita sta utilizzando nel conflitto in Yemen.
L’immagine in apertura di Sana’a, capitale dello Yemen bombardata, è una foto di ibrahem Qasim tratta da Flickr in CC