L’anniversario della morte di un uomo che ha guardato oltre il suo tempo
di Alessio Di Florio
Il tempo scorre e va via. E anche quest’anno arriva il 3 luglio, giorno di riflessione e dolore, il giorno in cui – in punta di piedi ma facendo nei nostri cuori più rumore di qualsiasi tempesta – Alexander Langer lasciò questa terra. La lasciò nel fisico, ma mai nell’animo, nei cuori e nelle menti.
Perché, oltre vent’anni dopo, il suo pensiero, i suoi scritti e le sue riflessioni, sono sempre ineludibili. Ancor di più in queste settimane, mesi, nei quali tutto ciò contro cui Alexander ha lottato tenace fino all’ultimo si staglia sempre più minaccioso.
Quest’Europa oggi sempre più in crisi ha deciso il proprio destino in quegli anni, nel momento in cui ha scelto di forgiarsi nella tecnocrazia finanziaria di Maastricht e, nello stesso tempo, lasciare il dramma dei Balcani alla diplomazia delle cancellerie, della geopolitica, degli “alti” giochi politici. Mentre migliaia di persone venivano quotidianamente massacrate.
Alexander, che quella guerra portava nel cuore e alla cui fine dedicava ogni giorno della sua vita, l’aveva già capito quando alla fine di giugno del 1995 scrisse che “L’Europa nasce o muore a Sarajevo”.
Ma, purtroppo, ancora oggi è totalmente inascoltato. Così come, anche in quell’ampio arcipelago politico e sociale che vi dovrebbe far riferimento, si è lasciato cadere completamente nell’oblio quella guerra, le vicende dei Balcani, anni di profondissima, vera, reale, partecipata solidarietà dal basso. Anni in cui dal disegno di un bambino serbo, “Non Bombe Ma Solo Caramelle”, partì una delle più forti esperienze di solidarietà tra lavoratori italiani e serbi.
Ma non sembra esserci altra strada, e Alexander in questo è un faro prezioso, ci precede e ci costringe – con la profondità di un animo nobile e sensibile – a riflettere, interrogarci, a non rinchiuderci in facili formulette da politica di bottega ma a caricarsi seriamente i pesi, i dolori ma anche le speranze degli ultimi e degli impoveriti.
Non saranno i grandi proclami o lo sventolare di maestosi vessilli a riparare il mondo, a sovvertire questo “stato di cose presenti” sempre più precario e a rischio. Sono più le stelle in cielo che quanto si possa comprendere chinati sulla Terra.
Alexander in occasione del G7 a Napoli del luglio 1994 chiese “silenziate un po’, per favore, i vostri altoparlanti, moderate le vostre televisioni, limitate le vostre pubblicità, contenete le vostre telenovelas! Date spazio e voce, ospitalità e megafono alle molte voci dei piccoli, alle voci del sud, alle voci di coloro che non scelgono di gridare, o che non hanno più fiato per farlo”.
Nulla di più attuale, indispensabile, prezioso. Perché, spesso, troppo spesso, si riempiono pagine e pagine di analisi o presunte tali, di trattati di geopolitica, di “alti” ragionamenti e ci si dimentica di chi soffre, del dolore degli ultimi, degli impoveriti, dei più deboli, di coloro che non hanno vessilli e megafoni, grandi alleati o eserciti a disposizione.
Ernesto Balducci disse che bisognava svoltare dall’uomo delle tribù all’uomo planetario. Balducci è morto in un incidente d’auto nel 1992 ma, ancora oggi, vediamo troppo spesso in azione solo uomini delle tribù. Armati anche di clava … Non si può combattere la barbarie arrendendosi ad altrettanta barbarie. Su quel piano vincerà sempre Himmler, trionferà sempre Goebbels, la notte dei cristalli sarà sempre dietro l’angolo.
Alexander Langer fu definito il più impolitico dei politici, ha avuto il coraggio di osservare e agire con una intelligenza profonda e una generosità di sentimenti che i tempi stretti e la selezione al ribasso imperanti escludono. Quella selezione al ribasso che vorrebbe far credere che non ci sono alternative al valzer di quotidiane squallide consorterie, egoismi, meschini e osceni tradimenti, volgari interessi o vuoti proclami lontani dai teatri dell’umanità dilaniata.
E’ possibile farlo? La vita e l’impegno di Alexander ci dicono di si, e lui stesso da quel maledetto 3 luglio ce lo chiede, con il più conosciuto dei suoi biglietti d’addio – “Continuate in ciò che è giusto” – che è un obbligo per ognuno di noi. Per John Lennon il più grande errore era che per amare ci si deve nascondere, mentre guerre e odio avvengono alla luce del sole. Ma, troppo spesso, dolorosamente troppo spesso, non soltanto il sentimento più nobile non si riesce a non nasconderlo, non si trovano le parole, non si riesce ad esprimerlo, si rimane schiacciati da paure, tradimenti, deserti che attraversano (o hanno attraversato, lasciando cicatrici non rimarginabili) le nostre esistenze.
Compagno è parola dalla nobile origine, è colui col quale si spezza il pane. Ma qual è oggi questo pane? Con chi lo si condivide? Riusciamo ad impastarlo con le lacrime e la compassione per chi soffre ed è oppresso? Siamo disposti ad essere anche disertori di autoreferenziali e autoconsolatori bantustan per farlo? Riferendosi a Petra Kelly, Alexander scrisse che “forse è troppo arduo” essere “portatori di speranza” perché “troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza”.
Si può vivere immersi in una marea sterminata di contatti, di conoscenze e di esperienze e sentirsi soli. Incompresi. Accade che ci si senta soli, che si rimanga soli. Estranei, lontani. Nel deserto. Si è circondati da decine, centinaia, di persone, ma si vive il deserto dell’anima. Si dona così tanto amore che giunge il giorno in cui se ne ha necessità vitale, ma non si riesce ad esprimerlo e trovarlo. Ci si sente fragili e indifesi, si vorrebbe volare alto e oltre ma ci sono zavorre che trascinano sempre più giù.
Nel 1897, dopo una discussione con alcuni “piccoli amici”, una bambina di otto anni chiese al New York Sun se Babbo Natale esiste davvero. Il 21 dicembre la risposta arrivò con un editoriale che commosse moltissimi lettori ed entrò nella storia del giornalismo mondiale (ed infatti il New York Sun lo ripubblicò tutti gli anni fino alla sua chiusura nel 1950) e fu positiva.
Si legge in quell’editoriale che è l’abbondanza dell’amore e della generosità, la loro esistenza, che danno alla vita bellezza e gioia, se non esistessero non esisterebbero poesia e romanticismo e la luce eterna (dell’infanzia!) riempie il mondo sarebbe estinta. E sono queste le cose più vere del mondo.
Per dirla con le parole di un altro grande viaggiatore e del suo libro più famoso, il Piccolo Principe, l’essenziale è invisibile agli occhi. Questo essenziale spesso irrompe nella nostra vita e squarcia la desolazione e il grigiore della quotidianità.
Ma bisogna saperlo vedere, capire che la vita non è un arido calcolo o una gara a chi corre più veloce. Uno dei simboli del nostro tempo è l’auto, mezzo privilegiato per qualsiasi spostamento. Sul quale spesso siamo soli, sfrecciamo veloci indifferenti a quel che ci circonda. O addirittura ostili. Perché in quelle ore spesso si è più irascibili, più belluini, più conflittuali col mondo. Potremmo, forse dovremmo, recuperare la calma e la “velocità” del treno, di quelle vecchie care carrozze che ancora oggi accompagnano pendolari di ogni latitudine.
In compagnia, attraversando anche i luoghi più belli e commoventi (e sono spesso i momenti nei quali il treno rallenta di più). Il suo cullare accompagna in riva al mare, tra i monti, permette di ammirare bellezze di posti diversi – conosciuti e sconosciuti, affascinanti e colorati. Il treno può essere un immergersi continuo e costante nelle poesie che ci circondano, e che con un altro mezzo difficilmente vedremmo, quelle poesie che improvvisamente possono rapirci nei momenti più imprevedibili.
Ed è stata questa una delle riflessioni più belle e umane che Alexander ci ha lasciato, proponendo di “rovesciare il motto olimpico”. “Lentius, profundius, suavius” ovvero “più lento, più profondo, più dolce”.
Per questo, oltre vent’anni dopo, non è solo rituale o inutile ricordare una persona come Alexander Langer e rileggersi i suoi scritti. Scritti di una persona, come disse un suo carissimo amico, la cui vita “è stata bella”, “invidiabilmente ricca di viaggi, di incontri, di conoscenze, di imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore”. In questi tempi così difficili e disumani il suo “viso serio e gentile” ci doni forza e coraggio, per andare incontro alle sfide di questo nostro tempo “con il suo passo leggero” e senza mai perdere la speranza.