Questo rapporto di forza è odioso. Perché scatena la contrapposizione di forze che tirano rabbiose in opposte direzioni: la libertà di espressione è universale? La libertà di espressione ha un limite?
di Angelo Miotto
Leggo i commenti, ma non tutti, della vicenda di Fermo su più bacheche social di amici o sotto alcuni articoli. Il giornalismo mainstream ha dato ancora una volta il peggio di sé, con titoli e retroscena sparati con fretta, sciatti, chissà se volutamente sciatti o solo con la classica noncuranza che tralascia le fonti, le verifiche, le opportunità.
Poi i commenti orribili, quelli che segnala Alessandro Milan su Facebook arrivati dalle telefonate degli ascoltatori alla sua trasmissione su Radio 24.
Era accaduta una cosa simile alcuni giorni fa, quando Nicola La Gioia su Radio Rai aveva dedicato tutta una trasmissione alle telefonate degli ascoltatori rabbiosi per le operazioni di recupero dei corpi di migranti naufragati e rimasti in fondo al mare.
Veleno, qualunquismo, ignoranza, razzismo. Fascismo.
Alcune settimane fa ricordo ancora una polemica, questa è una facezia confronto gli ultimi avvenimenti, riguardo un blitz piuttosto goliardico in cui alcuni libri di Matteo Salvini vennero presi e rovinati da un gruppetto di contestatori. Si tirò in ballo la libertà di espressione e la stessa democrazia.
Alessandro Gilioli, sulla sua pagina Facebook, ha scritto due giorni fa un mirabile post in cui diceva una sacrosanta verità, che riguarda Salvini Matteo, ma poteva riguardare anche Berlusconi Silvio e tutti quelli dell’orda infame che hanno rubato oltre vent’anni a questo paese: se i giornali non si prestassero a essere megafono, se i giornalisti commentatori dicessero semplicemente ‘no grazie’ alle dirette con Salvini, sicuramente la grancassa razzista e qualunquista e fascista che sentiamo rimbombare in queste settimane non sarebbe così forte.
La libertà di dire tutto quello che si vuole semplicemente non esiste. Anzi sì, esiste e va perseguita e additata e denunciata e non amplificata, quando il messaggio è criminoso e criminale. Il social network è social, ma non vuol dire che debba essere per questo strumento e amplificatore di razzismo che, ne converrete, è anti-social, perché discrimina.
Hanno scambiato la libertà di espressione con il tutto vale, hanno scambiato il filtro della consapevolezza e della cultura con le peggiori coglionerie e bestemmie coatte nel nome del “han diritto anche loro ad esprimersi”.
Hanno innalzato il pensiero debole per chiamarsi pop, hanno messo sul trono i tronisti, hanno chiamato giornalismo La Zanzara, hanno infarcito di tramissioni costruite su poveracci prezzolati i pomeriggi del servizio pubblico, quella che la prosa di Alessandro Robecchi chiama con cognizione La Grande Fabbrica della Merda.
Hanno spinto sulla retorica del disumano, di cui fu profeta e vate Marco Revelli, in cui la guerra è fra poveri e poi fra poveri di colore diverso e contro chi arriva per ultimo, disgraziato.
Hanno. Giornali, sistema tv, politica di palazzo, interessi che poco hanno a che vedere con la vita quotidiana delle persone.
I commenti di questi giorni ci dicono che un’operazione è andata a segno, quella che unisce lo spappolamento delle difese immunitarie contro il rigurgito fascista insieme a quello della mucillagine sociale di cui venivamo avvertiti anni fa e che è proseguito con la falcidie dentro il ceto medio, creando un anello mancante importante e di difesa verso quelle cifre a doppio numero dell’ignoranza e analfabetismo funzionale che reggono una maggioranza di questo Paese e non si solo d’Italia, ma anche in gran parte d’Europa. Capitalismo protagonista, non ci sono dubbi, perché tutte queste operazioni sono state condotte nel nome di una unica ideologia sopravvissuta, che divide e crea odio e dove i servi si sentono padroni appena possono infangare qualcuno che sta a un gradino più basso.
Liberi di dire tutto? Forse sì, come liberi di non ascoltare, ma soprattutto liberi di non divulgare e di non premiare tutti quei mezzi di comunicazione, politici, finanziari che si prestano a questa operazione che ci riporta a un medioevo della solidarietà, della fame di cultura, della condivisione, dell’ansia di poter progredire che non c’è più fra un olio di cocco, un po-po-pò-po-po-poo e i cinquanta servizi su Antonio Conte e famiglia, il calcio raccontato agli scemi, la retorica patriottarda che neanche nel ventennio.
Diciamolo serenamente che garantire spazi di libertà di espressione non è un’operazione meritoria. Non farlo non è censura, perché se tutto si può dire, si può scegliere cosa veicolare e cosa andare a leggere; il Mein Kempf non è stata operazione culturale, mentre la lettura delle pagine del diario di Anna Franck organizzata da Radio Popolare sì.
L’amico, collaboratore e direttore di China Files Gabriele Battaglia scrive in queste ore lucidamente un invito social che spiega bene:
Sento gente secondo cui dire “scimmia” a una donna è libertà d’espressione e se tu non lo accetti allora sei antidemocratico.
Sento gente dire che se un italiano che ammazza un nigeriano è “razzista”, allora perché non si dà del razzista anche al marocchino che in una rissa taglia la gola a un italiano con un coccio di bottiglia?
Sento gente sostenere che se uno insulta gratuitamente una donna e poi ne ammazza il marito, è tutta colpa dell’immigrazione.
E così via.
Certo, i topi stanno uscendo dalle fogne, ma sono quasi affascinato dall’osservare come la società dello spettacolo, in cui si può dire tutto e il contrario di tutto e dato che tutto è sullo stesso piano alla fine resta solo la violenza del capitale, sia diventata la nostra condizione umana e materiale. Di fronte a questo gioco, l’unica forma di eversione consiste nell’interrompere la comunicazione. Chiunque la pensi anche lontanamente come negli esempi sopra citati è pregato di togliermi l’amicizia e levarsi dal c…. Dico sul serio. Voi siete il mio nemico.