di Bruno Giorgini
Quanto ci vorrà perché si capisca che una protezione e difesa civile organizzata di massa può costituire un importante contrasto al terrorismo jihadista. Prima di tutto per tenere sotto controllo la paura, perché l’obiettivo degli attentati è proprio quello di generare, moltiplicare e diffondere la paura fino al panico sociale. Il panico sociale specie quando s’accoppia alla frustrazione e alla sensazione d’impotenza, può fare impazzire un intero popolo, come già accadde ai tedeschi quando trovarono il capro espiatorio, l’ebreo che doveva essere annientato perché con esso sarebbero morte anche paura, frustrazione, impotenza.
Cosicché la guerra hitleriana è tanto figlia dell’ideologia dello “spazio vitale” – la costruzione del grande Reich – quanto della “necessità storica” della soluzione finale al problema ebraico come teorizzata da Hitler nella forma del genocidio, con al seguito puranche il filosofo Heidegger. Guerra per lo “spazio vitale” e “ soluzione finale” sono le due gambe su cui cammina la macchina totalitaria nazista. Col che ogni totalitarismo ha le sue specificità come ogni follia sociale ha i suoi profili, e quindi il jihadismo pur esibendo alcune dinamiche comuni col nazismo – dai crimini contro l’umanità usati come strumenti di governo all’esaltazione dell’Essere/Allah: mettendo l’Essere hiedeggeriano e il mein kampf, la mia lotta, hitleriano al posto di Allah vedrete disegnarsi impressionananti analogie – andrà studiato e colpito nel suo proprio corpore vivo.
Ma qui non vogliamo tanto proporre una possibile strategia politico militare offensiva, bensì una ipotesi di protezione e difesa civile contro il terrorismo che veda protagonisti i cittadini.
Sempre più infatti il terrorismo di ispirazione jihadista, in specie quello alimentato e proposto da daesh, attacca e colpisce le/i cittadine/i in modo indiscriminato, quando vanno a passeggio, prendono un caffè, assistono a uno spettacolo di fuochi artificiali. Assomiglia per certi versi alle azioni stragiste come quella che letteralmente bombardò la stazione di Bologna nel 1980 facendo 85 morti e oltre 200 feriti.
Con due rilevanti differenze. La strumentazione che va in ampio spettro dall’uso di armi da guerra e esplosivi, a quello di oggetti comuni, nell’ultimo caso a Nizza un camion, come ne vediamo a frotte correre lungo le strade, in qualche modo non inquietante quindi, almeno fino a ieri. La frequenza: sono passati pochi mesi dalla strage del Bataclan a Parigi. Questo assalto ai cittadini in quanto tali è sotteso da una idea genocidaria, non contro l’ebreo o l’oppresso di turno – mussulmano, nero, giallo ecc., ma contro il cittadino. È la cittadinanza in quanto tale che si vuole annichilire. Perché il cittadino col suo libero arbitrio (il free will) quando si associa costituisce/costruisce la civitas che è fondamento della democrazia. La città costituisce un sistema di differenze c’insegna Aristotele, che si compone nella convivenza civile, oppure si frattura nella guerra civile.
Questa convivenza vogliono distruggere gli attentati contro i cittadini di ogni età, sesso, colore, religione, ideologia iniettando dosi massicce di paura, la paura dell’altro, il tuo vicino, qualunque tuo vicino.
Sapendo in modo lucido che queste azioni contro i/le comuni cittadini/e sono destinate a favorire, per esempio in Francia, la destra estrema di Marine Le Pen nonché l’assunzione di una serie di misure di polizia comunque limitanti le libertà quando non arrivino a ledere i diritti civili e politici, o addirittura umani. Fino al limite della trasformazione della République democratica in stato autoritario di cui i reiterati stati d’urgenza sono solo un assaggio, e sarebbe il disastro. Per L’Europa innazitutto.
L’UE già barcolla e si riempie di crepe per la Brexit, si provi a pensare cosa ne sarebbe nel caso in cui anche la Francia scegliesse un percorso nazional nazionalista. Persa per strada la rivoluzione democratica inglese (Cromwell ecc…), la scomparsa di liberté, egalité, fraternité dal panorama delle parole decisive costituenti l’Europa, vorrebbe dire il suo crolle coi rischi di guerra conseguenti. Se qualcuno vuole convincersene ritorni con la memoria ai conflitti armati che hanno dilaniato l’ex- Jugoslavia, e osservi in quanto poco tempo le contraddizioni inter etniche, attizzate da politici senza scrupoli, puri criminali, si siano trasformate in conflitti armati con campi di concentramento, pulizia etnica e violenze carnali di massa al seguito.
Allora devono essere i cittadini in prima persona a prendere in mano il loro destino, producendo forme di auto – organizzazione per la loro difesa e protezione.
Non basta delegare ai sistemi di sicurezza e repressione professionali. Anche perché se l’attacco è contro il cittadino, ogni cittadino, ognuno/a di noi, più o meno a caso, con un alto tasso di imprevedibilità, per stare abbastanza sicuri dovremmo tutti muoverci con la scorta, o non muoverci, restando tappati in casa, ma poi al lavoro o a scuola devi recarti e siamo daccapo. Durante la guerra al momento dei bombardamenti mentre la contraerea sparava, i cittadini avvertiti tramite sirena o altro andavano nei rifugi onde ridurre al minimo le perdite civili. Ecco bisogna mettersi all’opera costruendo per tutti i cittadini i “rifugi” adatti contro questa forma di terrorismo.
Non si parte da zero, perché l’esperienza della protezione civile negli eventi catastrofici, spesso imprevedibili, può far tesoro anche rispetto a attacchi terroristici. Con criteri semplici e procedure condivise si tratta di introdurre forme cooperative, guardandosi in qualche modo le spalle a vicenda in funzione dell’aiuto reciproco: infondere l’idea che non si è soli di fronte al pericolo, cercando le pratiche opportune. Forme cooperative studiate per renderle congruenti con le varie situazioni e nei vari aggregati, una scuola media sarà diversa da un liceo, un luogo di lavoro pubblico, ristorante, caffè, bistrot, sarà diverso da un ufficio, una manifestazione di massa sarà diversa da un concerto all’aperto eccetera, così come l’attacco di un camion sarà diverso da una azione armata, ecc…
Coscienti che la storia del terrorismo jihadista non sarà di breve durata, attrezzarsi a tenere sotto controllo se non prevenire il panico nel caso si verifichino eventi “catastrofici” imprevisti in una folla sarebbe assai benefico, preservando una capacità di pensare che spesso il panico annulla, e di conseguenza anche una efficienza pratica che non sia la fuga impazzita al grido di “si salvi chi può”. Perché le cosiddette strategie selfish – egoistiche – possono essere devastanti in caso di pericolo collettivo, lo stesso valendo per le strategie competitive.
Si tratta di costruire un sistema collaborativo di apprendimento teorico e pratico il quale in buona sostanza trasmetta il concetto che muoversi insieme è assai meglio che andare in ordine sparso, sia quando si gioca a football che quando si cerca di sfuggire a un attacco terroristico, o almeno ci s’ingegna a diminuirne il coefficiente di rischio e attutirne l’impatto.
So che introdurre elementi di coscienza collettiva e azione cooperativa tra i cittadini non si presenta come un compito facile, e forse nemmeno gradito alle autorità statali, però sarebbe certamente un bene per la sicurezza dei cittadini, per il contrasto al terrorismo con forte riduzione delle paranoie frutto della paura, e infine un buon viatico per la convivenza civile.