La Tunisia contro la cancellazione dei crimini del passato

In attesa del nuovo governo di unità nazionale, la Tunisia scende in piazza per protestare contro una legge che permetterà il condono dei capitali accumulati negli anni della corruzione e del regime di Ben Ali

Di Lorenzo Fe, tratto da Global Project

Venerdì 15 luglio la campagna Manich Msamah (Non Perdono) è tornata nell’Avenue Bourguiba di Tunisi per protestare contro la legge di riconciliazione, che permette ai funzionari di stato e agli uomini d’affari facenti parte della cricca vicina a Ben Ali di venire amnistiati da crimini economici e di corruzione, in cambio delle scuse e del versamento di una penale.

Si parla di questa legge già dall’estate scorsa, e nel settembre 2015, un primo movimento di protesta l’aveva presa di mira. La legge, giustificata dal governo come una delle molte misure volte a “migliorare il clima per gli investimenti”, era stata ritirata per essere poi ripresentata al parlamento il 29 giugno 2016 in una versione “migliorata” e con il sostegno del partito islamista Ennahda. In base al calendario attuale, sarà votata il 25 luglio [per altro il giorno della Festa della Repubblica in Tunisia, NdR].

Tuttavia secondo il movimento si tratta di un cambiamento di forma (si parla ora di “riconciliazione globale” invece che di “riconciliazione finanziaria”) piuttosto che di sostanza.

In un comunicato del 29 giugno dell’associazione Al Bawsala, si leggeva che il ritorno della proposta: “Prova l’ostinazione della presidenza della repubblica e dell’assemblea dei rappresentanti del popolo a far passare questa legge nonostante il rifiuto categorico di tutte le componenti della società civile nazionale e internazionale. Questo rifiuto è stato parimenti espresso dalla Commissione provvisoria per la giustizia giudiziaria e dalla Commissione provvisoria di controllo della costituzionalità dei progetti di legge, nonché – sul piano internazionale – dalla Commissione di Venezia.

Il progetto di legge è stato condannato anche dalla Lega Tunisina dei Diritti Umani e da Human Rights Watch, che ha utilizzato termini molto netti: “Come l’impunità per coloro che violano i diritti umani costituisce un via libera alla continuazione degli abusi, l’amnistia per i criminali economici aumenterà la corruzione”. HRW ricorda anche che corruzione e violazione dei diritti umani sono due pratiche mutualmente rinforzantisi.

La legge farebbe cadere i processi anti-corruzione attualmente in corso e bypasserebbe il programma di giustizia transizionale avviato nel 2013 con la creazione della Commissione Verità e Dignità (CVD).

Anche la CVD permette la conciliazione in cambio di scuse e pagamento della penale. La differenza cruciale tra essa e il progetto di riconciliazione è che quest’ultimo non prevede la pubblicazione dei documenti relativi ai crimini i questione, tenendo quindi nascosta la verità all’opinione pubblica e lasciando ampio spazio ad abusi di vario tipo. Soprattutto alla luce del fatto che la nuova commissione sarebbe nominata direttamente dal governo, un governo in buona parte di fatto vicino all’apparato di potere pre-rivoluzionario.

La discussione della legge di riconciliazione avviene nel contesto delle trattative per la formazione di un nuovo “governo di unità nazionale”. Si tratta di un’iniziativa del presidente della repubblica Beji Caid Essebsi volta a rimpolpare la legittimità di un potere esecutivo nettamente sottomesso alle istituzioni finanziarie internazionali con cui lo stato è indebitato. Governo quindi oggetto del cinismo e della profonda rabbia di gran parte della popolazione, colpita da disoccupazione endemica, crescita debole e svalutazione del dinaro. Secondo un recente sondaggio, per quel che può valere, il 71% dei tunisini pensa che il paese “stia andando nella direzione sbagliata”.

Tra i principali punti dolenti spiccano appunto la corruzione e l’andamento dell’economia. Più importante, a gennaio il paese è stato attraversato da virulente proteste popolari, che sono poi riprese in aprile con una dura mobilitazione nelle isole Kerkennah.

Il governo attualmente in carica è già il risultato di una “grande coalizione” tra i due principali partiti del paese, il modernista Nidaa Tounes e l’islamista Ennahda, divisi dalle preferenze culturali ma sostanzialmente concordi sulla linea economica.

Il più grande (o piuttosto il meno piccolo) partito d’opposizione, la formazione di sinistra Fronte Popolare, ha deciso di boicottare le trattative per la formazione del governo di unità nazionale. Non saranno quindi le adesioni di micro-partitini finora all’opposizione – come il nasserista Harak Achaab (Movimento del Popolo) o l’ex comunista Al Massar (aka Via Democratica e Sociale) – a dare all’esecutivo l’aiuto di cui ha bisogno. Il vero valore aggiunto sta nell’inclusione nelle trattative della grande centrale sindacale UGTT e dell’associazione padronale UTICA. Com’è noto, l’UGTT è la più grande organizzazione di massa del paese e gode ancora di una rilevante legittimità da un lato per il contributo della sua ala sinistra all’insurrezione del 2011 e dall’altro lato per il ruolo del vertice nel dialogo nazionale post-rivoluzionario.

I dirigenti del sindacato giocano però con il fuoco.

L’immagine dell’UGTT porta comunque le macchie della vecchia alleanza tra la segreteria nazionale e Ben Ali nel periodo pre-rivoluzionario, e la sua associazione a un governo che proseguirà nell’applicazione di misure economiche impopolari la esporrà ulteriormente alla disillusione da parte di importanti segmenti delle classi popolari, in linea con la tendenza mondiale rispetto alla quale è stata finora una parziale eccezione.

La traiettoria futura dipende anche dalle scelte della base politicizzata e dei movimenti sociali al suo esterno. In ogni caso l’iniziativa del governo di unità nazionale sembra molto debole di fronte a una frustrazione così diffusa, probabilmente ciò che più la contiene non sono queste manovre di palazzo ma il clima regionale di terrore creato dalla violenta offensiva dell’estrema destra islamista, così efficace nel tagliare le gambe ai movimenti di massa per i diritti.

La foto di copertina è di Patrizia Mancini da Tunisi