di Francesca Rolandi
Venticinque anni fa a quest’ora, mentre a parlare erano le armi nella vicina Croazia, a Sarajevo, dove la guerra non era ancora arrivata, si lucidavano gli strumenti per quello che sarebbe stato il più grande concerto della scena rock jugoslava.
Il programma televisivo federale Yutel, una creatura della nuova leadership federale jugoslavista di Ante Marković destinata ad appassire presto, organizzava a Sarajevo per il 28 luglio un grande concerto della pace, riunendo i più grandi interpreti da tutte le repubbliche del paese, oltre a una serie di personaggi pubblici e non.
A condurre furono i giornalisti Goran Milić e Gordana Suša, due volti di Yutel, che si intervallarono con gli ospiti all’interno del palazzetto dello sport Zetra, costruito alcuni anni prima, nel 1984, per le Olimpiadi invernali che la città aveva ospitato.
A sfilare sul palco per una maratona di diverse ore furono alcune delle band più significative degli anni ’80, i cerebrali Ekv e l’ammiccante Bajaga da Belgrado, l’inossidabile Goran Bregović e l’istrionico Nele Karajlić, fino a poco prima frontman della band di culto sarajevese Zabranjeno Pušenje.
La musica si alternava alla recitazione, come quella dell’attore zagabrese Rade Serbedžija e del poeta bosniaco Abdulah Sidran e a quella dei minatori di Breza, arrivati, come dissero, dalle viscere della Jugoslavia.
“Non fatevi toccare dagli impestati dal nazionalismo, lavatevi le mani tra una canzone e l’altra” fu il messaggio che fecero pervenire da Belgrado Bojana Marijan e Dusan Makevejev, lei produttrice, lui regista maledetto e provocatore dell’Onda nera.
Il risultato fu uno strano mix di musica rock, isterismo giovanile, slogan partigiani che in quel momento assumevano un significato particolarmente disperato e appelli alla pace.
Nel pubblico, 30.000 persone, molte delle quali giovanissime, si agitavano sotto la pioggia, cantando le canzoni che sapevano a memoria, tra t-shirt, jeans e bandiere della Jugoslavia, tutto rigorosamente intriso di sudore. Altre 50.000 aspettavano fuori perché solo all’ultimo momento il concerto che era stato spostato nel palazzetto a causa del maltempo.
“Nessuno potrà distruggere la Jugoslavia perché da questa sera le forze della pace vincono” commentò Vasil Tupurkovski, membro dell’ultima presidenza tripartita e tra i fondatori del movimento pacifista macedone, fasciato in una t-shirt a righe che ne sottolineava la corpulenza da funzionario di mezza età.
Erano in molti a pensarlo, anche il cantante belgradese Bajaga che strappò qualche lacrime complimentandosi con il pubblico quanto era bello con in faccia stampato il sorriso della pace.
Una generazione intera si trovava in quello stadio, ma vi fuorno anche alcuni che non riuscirono a vedere il concerto. Non lo vide la giovane Eleonora Birls-Jung, i cui genitori erano convinti che si trattasse di una questione di sporco marketing da parte degli organizzatori, farsi pubblicità con un concerto facendo leva sulla paura verso un conflitto che a Sarajevo sembrava irrealistico.
Non lo vide Enes Terzić, presidente del Zetra, perché troppo impegnato nel monitorare che tutto si svolgesse per il meglio nonostante la sala contenesse un numero di persone oltre il consentito.
Sullo slancio emotivo del movimento pacifista sarajevese circolavano molte leggende, come quella di una pattuglia di tassisti di Sarajevo che si sarebbero diretti a Vukovar per fermare la guerra e sarebbero stati rimandati indietro al primo posto di blocco. E che avrebbero poi raccontato: E’ inimmaginabile, quanto è calmo qui da noi, tanto lì è un inferno, e proprio dietro l’angolo.
Le manifestazioni pacifiste continuarono ininterrotte nella capitale bosniaca, fino a quando, il 5 aprile 1992, proprio durante una protesta, sarebbero cadute per mano di cecchini le prime vittime dell’assedio, Suada Deliberović e Olga Sučić. A un mese di distanza anche il palazzetto dello sport Zetra sarebbe stato colpito dalle granate.
La portata simbolica del concerto per la pace è al centro del progetto Zetra Project, portato avanti da una équipe bosniaco-tedesca, che si propone di raccogliere le testimonianze di coloro che erano presenti a quel concerto o che non c’erano ma ne hanno delle memorie, come Eleonora ed Enes. E un tentativo di ridare dignità a un esteso, coraggioso e trasversale movimento per la pace che dovrebbe essere da monito ai Balcani di oggi.